Recensione Frankεn5tε1n

L'inglese Bernard Rose attualizza il mito del mostro di Frankenstein trasferendolo nello squallore delle strade della moderna Los Angeles, con un ricco cast comprendente Carrie-Anne Moss.

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Quando arrivò a pubblicarlo nel 1818, chi glielo avrebbe mai detto alla scrittrice inglese Mary Shelley che il proprio romanzo gotico Frankenstein, o il moderno Prometeo avrebbe suscitato in non poche occasioni l'interesse da parte dei lavoranti in quella magnifica invenzione che, denominata cinema, nacque soltanto oltre quarant'anni dopo la sua scomparsa?
A partire da un lungometraggio muto diretto nel 1910 da J. Searle Dawley, infatti, sono state innumerevoli le volte che hanno visto il pericoloso essere creato con parti di cadaveri finire sullo schermo, dal classico di James Whale prodotto negli anni Trenta dalla Universal alla saga in sette capitoli sfornata dalla inglese Hammer Film Productions; fino ad arrivare al capolavoro da ridere Frankenstein junior di Mel Brooks e, addirittura, alla variante action I, Frankenstein con Aaron Eckhart.
Tutti diversi esempi cui va ad aggiungersi questa moderna e decisamente atipica rivisitazione per mano di Bernard Rose, il quale, giustamente, osserva: "Frankenstein rimane attuale oggi così come lo era duecento anni fa. Ai giorni nostri, l'idea di plasmare la carne servendosi di una stampante 3D è realtà, e il concetto della creazione di una nuova vita acquisisce maggiore credibilità".

Il moderno Prometeo

Perché, nella Los Angeles del XXI secolo, è proprio attraverso l'utilizzo di una stampante 3D che i coniugi Victor ed Elizabeth Frankenstein stavolta incarnati dal figlio d'arte Danny Huston e dalla Carrie-Anne Moss di Matrix creano artificialmente il loro mostro Adam con le fattezze di Xavier Samuel, il quale, pur essendo adulto, non ha idea di chi sia e di come sia finito nella stanza spoglia in cui si risveglia, senza avere controllo sul proprio corpo come accade ai neonati.
E, senza perdere tempo, se in un primo momento si ritrova sfigurato da cancri, polipi e noduli a forma di cavolfiore, non tarda a mettersi in fuga provvedendo immediatamente a movimentare la circa ora e mezza di visione che, non priva di impressionanti dettagli (comprensivi di iniezioni nel collo) fin dal suo avvio, si propone in maniera evidente quale rilettura piuttosto realistica del mito horror che ebbe, tra gli altri, il volto del mitico Boris Karloff.
Del resto, al di là dei crani frantumati a mani nude e degli spargimenti di liquido rosso mirati a deliziare gli amanti dello splatter, si punta chiaramente a collocare in un contesto squallidamente metropolitano - non distante da quello che fu alla base di Trash - I rifiuti di New York di Paul Morrisey - i passaggi cardine del sopra menzionato capostipite sonoro whaliano; dal pericoloso incontro con la bambina al rapporto stabilito con un non vedente qui rappresentato dal musicista squattrinato Eddie, cui concede anima e corpo il Tony Todd che il regista ha trasformato in icona del genere grazie a Candyman - Terrore dietro lo specchio.
Senza dimenticare la prepotenza delle forze dell'ordine ed una prostituta tirata in ballo nel tentativo di soddisfare il proprio bisogno di sesso... al servizio di un coinvolgente e tutt'altro che noioso elaborato il cui fascino risiede proprio nella capacità di attualizzare l'intramontabile storia della sanguinaria creatura resuscitata accentuandone l'allegorico aspetto relativo all'emarginazione sociale, anziché snaturarlo come avvenuto spesso in altre trasposizioni.

Frankenstein L’inglese classe 1960 Bernard Rose attualizza il mito di Frankenstein mettendo in piedi circa un’ora e mezza di serrata visione che, non priva di violenza e spargimenti di sangue come giustamente dovrebbe avvenire in un film dell’orrore degno della classificazione, punta soprattutto ad accentuare i connotati di emarginato sociale che il mostro nato dalla penna di Mary Shelley ha sempre manifestato fin dalla sua nascita. Tra vagabondi, prostitute e cumuli di rifiuti sulle strade di Los Angeles, il risultato è un elaborato sicuramente più adatto ad una fruizione festivaliera che nella comune sala cinematografica, ma decisamente affascinante a causa del suo aspetto e dei contenuti che ci spingono ad accostarlo a determinate produzioni underground risalenti agli anni Settanta e Ottanta.

6.5

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