Recensione Fish & Cat

Un docuthriller iraniano in pianosequenza è tra le sorprese più insolite ed interessanti di Venezia 70.

Recensione Fish & Cat
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Esistono film talmente peculiari ed insoliti da sfuggire a qualunque tentativo di classificazione, al punto da rendere impossibile ricondurli ad un genere ben determinato o farli rientrare nei consueti canoni del cinema occidentale. L’effetto sullo spettatore, in casi simili, può risultare straniante, di difficile comprensione, ma al contempo - soprattutto se si è disposti ad abbandonarsi al “gioco” filmico - incredibilmente intrigante e ricco di suggestioni. È quello che si prova, spostando lo sguardo verso il cinema del Sud America, di fronte a numerose pellicole di Raúl Ruiz (un maestro nell’evocazione di determinate atmosfere sospese fra realtà e sogno), ed è anche l’impatto subito - ma non in una mera accezione ‘passiva’ - con Fish & Cat, opera del regista iraniano Shahram Mokri, presentata nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2013 (ma l’elevata qualità del film avrebbe giustificato perfino un inserimento nel concorso ufficiale). E se la cinematografia iraniana rimane ancora un campo tutto da esplorare, al quale il pubblico più cinefilo si è riaccostato solo di recente grazie agli exploit di Asghar Farhadi (About Elly, Una separazione, Il passato, film premiatissimi in tutto il mondo), Fish & Cat si propone al pubblico come un ‘oggetto’ decisamente più complesso, la cui complessità costituisce tuttavia anche la principale ragione del suo fascino.

Il gatto e il topo...

La prima ragione d’interesse di Fish & Cat, partendo da un approccio semplicemente tecnico (ma la semplicità, parlando di tecnica cinematografica, è tutt'altro che scontata), consiste nella singolare scelta di Shahram Mokri: realizzare l’intero film - 134 minuti di durata - attraverso un unico, lunghissimo piano sequenza (e qui viene in mente la vecchia scuola di Hitchcock, con quel geniale esperimento cinematografico che è Nodo alla gola) con una camera digitale. Una modalità per restituire immediatezza e realismo al racconto, nonché per intensificare il grado di coinvolgimento dello spettatore, costretto a seguire incessantemente i vari personaggi, con la focalizzazione che scivola di volta in volta da un protagonista all’altro. Ma pure in questo caso, la scelta di Mokri non può essere rinchiusa nei termini di una pura equazione: in Fish & Cat, infatti, proprio l’immediatezza e il realismo vengono scalfiti, messi in discussione, infine frantumati, in maniera lenta e quasi impercettibile (dato che il regista non ricorre ad alcun espediente da film fantastico o horror) ma appunto per questo ancora più spiazzante e sorprendente, fino a spingere lo spettatore ad interrogarsi sul grado di “verità” di ciò a cui sta assistendo.

...in piano sequenza

Ed è qui che Shahram Mokri fa intervenire l’elemento dell’insondabile e del perturbante, giocando con le nozioni di tempo, di spazio, di azione. In apparenza, Fish & Cat sembrerebbe aderire appieno alle unità aristoteliche: un gruppo di ragazzi iraniani, giovani, educati, brillanti, hanno intenzione di fermarsi in campeggio sulle rive di un lago, il quale però, lungi dall’essere il tipico locus amenus, è immerso in un’atmosfera plumbea e invernale, da cui paiono provenire inesorabili segnali di morte. Durante la loro gita, i ragazzi si trovano ad attraversare un bosco spettrale e labirintico, sotto le cui fronde si verificano strani incontri e manifestazioni ai limiti del soprannaturale (come se fossimo in uno degli scenari stregati che fanno da sfondo alle avventure dei paladini di Ariosto). Ed è in questo macabro teatro - il bosco, il lago - che le suddette unità di tempo, spazio ed azione sono capovolte e contraddette: e mentre la macchina da presa scivola da un personaggio ad un altro, tutto il film si disvela come una sorta di incantato “eterno ritorno”, in cui passato e presente, qui e altrove si succedono senza soluzione di continuità, quasi fosse un racconto già scritto che si riavvolge su se stesso ma in modo pressoché impercettibile.

L'orrore del non detto

La sottile, indefinibile inquietudine psicologica, con note dal sapore grottesco (si rivedano a tal proposito i primissimi film di Roman Polanski, come Il coltello nell’acqua e Cul-de-sac), si mescola ad una nuova concezione del tempo della narrazione che sfugge alle logiche tradizionali, producendo un “corto circuito” in grado di sfidare l’attenzione dello spettatore e di costringerlo a raccogliere e riunire i tasselli del film, nella speranza di ricostruire il “quadro generale” degli eventi.

E poco importa che l’orrore - perché è l’orrore il vero nucleo della storia - sia mantenuto implicito, fuori campo; benché il pubblico non esiti ad immaginare quali atrocità siano state commesse nell’ombra del bosco e fra le pareti di un ristorante gestito da tre loschi individui, mentre un odore nauseabondo e misteriosi sacchi colmi di rifiuti lasciano presagire mostruosi atti di cannibalismo. Ma paradossalmente l’indicibilità di tale orrore, il “non detto”, contribuiscono a far lievitare la tensione minuto per minuto (assai più di quanto non riescano a fare la maggior parte degli horror a cui siamo assuefatti); per poi giungere ad un epilogo - già presagito, già annunciato - in cui la suprema atrocità resta confinata fuori campo, illustrata con tono indifferente dalla voce stessa della vittima (l’ennesimo corto circuito fra la realtà e “l’altrove”), in un finale efficacissimo che si interrompe nel momento perfetto, lasciando lo spettatore agghiacciato e stordito, in bilico sull’orlo dell’abisso.

Fish & Cat Fra le sorprese più insolite ed interessanti nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2013, Fish & Cat, diretto dal regista iraniano Shahram Mokri, trascina lo spettatore in uno scenario sospeso fra realtà, sogno e incubo, mediante un unico, lunghissimo piano sequenza che frantuma le nozioni di tempo e di spazio e lascia l’orrore fuori campo, producendo tuttavia un inesorabile senso di mistero ed inquietudine.

7.5

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