Recensione Exodus: Dei e Re

Ridley Scott si dà al kolossal biblico, con un Mosè interpretato da un inedito Christian Bale

Recensione Exodus: Dei e Re
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A meno di un anno dall'uscita nelle sale di Noah (2014) di Darren Aronofsky, ispirato alla storia dell'Arca di Noè narrata nell'Antico Testamento e con Russell Crowe nel ruolo del patriarca del titolo, le pagine della Bibbia tornano su celluloide in 3D grazie a Exodus - Dei e re (2014) di Ridley Scott, adattamento dell'Esodo del popolo ebraico guidato da Mosè ed il cui protagonista Christian Bale, ormai fuori dal costume batmaniano della trilogia riguardante il Cavaliere Oscuro, osserva: "Penso che la storia dell'Esodo sia non solo una delle pietre angolari di molti testi sacri nel mondo, ma anche uno dei racconti più profondi nella storia dell'umanità. Trovo che Mosè sia stato un eroe complesso e anche riluttante. La fede lo ha portato a diventare un uomo in lotta per la libertà, un uomo che non si è fermato davanti a nulla per compiere la volontà di Dio. A parte questo, era un uomo pieno di contraddizioni: aveva fede ma era polemico, era esitante ma anche assertivo, era un guerriero e un liberatore, ed era, al tempo stesso, impetuoso e stoico. Mosè è uno dei personaggi più affascinanti che abbia mai studiato".
Personaggio su cui il regista - che dedica il film al compianto fratello Tony - aggiunge: "Mosè è più vicino a un operaio che non a un faraone, è un uomo semplice e di buonsenso. Mosè è un personaggio iconico che, al tempo stesso, deve essere interpretato come una persona reale. È il cuore eroico del film e ne è l'essenza emotiva".

Anno 1200 Avanti... Christian

Girato nei Pinewood Studios di Londra e, per quanto riguarda gli esterni, ad Almeria, nel sud della Spagna, e a Fuerteventura, nelle isole Canarie, il lungometraggio pone quindi l'ex Bruce Wayne del grande schermo nei panni di colui che, incurante del pericolo, si ribellò al faraone Ramses, del quale divenne il consigliere più fidato e secondo in comando, in quanto cresciuti come fratelli.
Un Ramses che, interpretato da Joel"Warrior"Edgerton, caccia l'uomo quando viene a sapere che è ebreo, arrivando a farlo condurre nel deserto, dove è destinato a morte quasi certa; man mano che la pellicola si popola di tutt'altro che sconosciuti volti appartenenti alla Settima arte, nei confronti del cui coinvolgimento Scott puntualizza: "Data la sua posizione di crocevia tra Africa, Medio Oriente ed Europa, l'Egitto era, ed è ancora, un punto d'incontro tra culture differenti. Abbiamo scelto attori di etnie diverse per riflettere questa varietà culturale: iraniani, spagnoli, arabi... Vi sono molte teorie diverse riguardo all'etnia del popolo egizio e abbiamo discusso a lungo su come rappresentarne al meglio la cultura. Dovendo dare vita ad una vicenda che ha le sue radici in molte religioni ed è importante per molti popoli in tutto il mondo, abbiamo cercato di scegliere attori che, attraverso la loro interpretazione, potessero rendere giustizia ad una storia universale".
Infatti, nel mucchio abbiamo John Turturro nella parte del sovrano d'Egitto Seti, padre di Ramses, che ebbe dalla prima moglie Tuya alias Sigourney Weaver, Ben Kingsley impegnato ad incarnare il dotto ebreo Nun, ovvero colui che svela a Mosè la verità, scatenando gli eventi che conducono al suo esilio, e l'Aaron Paul di Need for speed (2014) a concedere anima e corpo a Giosuè.

Il kolosso di Ridley

Tutti al servizio del resoconto d'inizio terzo millennio della non facile impresa di guidare quattrocentomila schiavi in fuga, messa in piedi da un individuo che non possiamo fare a meno di definire audace, considerato il coraggio sfoderato nello sfidare la potenza di un impero.
Impresa che, mentre viene ribadito che gli uomini che bramano il potere sono i più bravi ad ottenerlo ma i meno degni di esercitarlo, finisce in questo caso orchestrata nel corso di circa due ore e mezza di visione sfoderanti una prima sequenza di battaglia già poco dopo il loro avvio.
Sequenza che, però, sembra costretta a rappresentare l'unica fase esaltante della prima parte dell'operazione, noiosamente afflosciata sull'infinità di dialoghi e di lungaggini narrative da cui ci si comincia a disintossicare solamente una volta giunti al sanguinolento attacco da parte dei coccodrilli, con tanto di acque tinte di rosso.
Attacco degno delle migliori pellicole eco-vengeance (sottogenere dell'horror costituito da titoli incentrati su animali assassini), come pure l'invasione di rane, mosche, moscerini, vermi e locuste; testimoniando ancora una volta, dopo Prometheus (2012), la propensione da parte dell'autore di Alien (1979) e Blade runner (1982) ad abbandonarsi, quando necessario, a gore e violenti eccessi da b-movie.
Anche se, considerando le centinaia di milioni di dollari di budget a disposizione, risultano quasi del tutto inutili sia gli elogi al lodevole lavoro svolto su messa in scena, costumi e scenografie, sia lo stare ad accentuare che il secondo tempo dell'insieme concede non poco spazio all'alta spettacolarità e all'intrattenimento.
Un'alta spettacolarità tendente più del solito al realismo (basterebbe citare la maniera in cui viene inscenata l'attesissima apertura e richiusura delle acque) e che, in fin dei conti, non provvede altro che ad accumulare buona parte dei pregi estetici dell'ennesimo kolossal a stelle e strisce non privo di difetti, invece, per quanto riguarda il ritmo generale e lo sviluppo del plot.
Kolossal che non aggiunge praticamente nulla a quanto già raccontato al cinema dai classici del passato e che sembra in maniera evidente guardare a I dieci comandamenti (1956) di Cecil B. de Mille, sfruttando un approccio alla materia, però, non distante da quello cui Scott fece ricorso al fine di affrontare il peplum per mezzo de Il gladiatore (2000).

Exodus: Dei e Re “Mi piace tutto ciò che è smisurato. Ne Il gladiatore sono riuscito a far respirare il film e a far provare agli spettatori la sensazione di vivere in quell’epoca. In Exodus - Dei e re ho voluto dare vita in modo analogo alla cultura egizia e alla storia dell’Esodo, come mai era stato possibile fino ad ora”. Effettivamente, non possiamo fare a meno di dare ragione a questa dichiarazione del regista Ridley Scott, perché è proprio la maniera di affrontare il peplum sfoggiata nel già classico interpretato da Russell Crowe che sembra rispolverare nel confezionare il suo kolossal biblico popolato da un cast tutt’altro che povero. Ma, se la seconda, movimentata parte compensa in spettacolarità e movimento quanto manca alla decisamente fiacca e noiosa prima, il ritmo generale pare rimanere sempre sul filo dell’indecisione. Al servizio di centocinquanta minuti di visione (un po’ troppi) che, incapaci di regalare qualcosa di nuovo allo spettatore abituario del filone, non rivelano altro che i connotati dell’ennesimo, milionario compitino portato a termine e destinato a spingere a pensare che colui che si trova dietro la macchina da presa non sia affatto il giovane maestro della Settima parte che ci regalò Alien (1979), ma l’invecchiato mestierante di Hollywood sguazzante senza fantasia tra un Robin Hood (2010) e un The counselor - Il procuratore (2013).

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