Recensione Dream House

Lo sfortunato ritorno alla regia di Jim Sheridan

Recensione Dream House
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Dream House è un film che passerà alla storia. Anzi, in un certo senso, forse, lo ha già fatto.
Siamo infatti di fronte a uno di quei film “maledetti”, dalla produzione travagliata, che fanno parlare di sé non tanto per il proprio contenuto effettivo quanto per le varie voci che vi girano attorno.
I soli 36 milioni di dollari incassati in tutto il mondo su un budget di circa 50 milioni ne hanno fatto uno dei più cocenti flop della scorsa stagione cinematografica, ma non è (solo) a ciò che Dream House deve il proprio clamore. E’ infatti il regista Jim Sheridan, apprezzato autore di cult movies quali Il mio piede sinistro (1989), Nel nome del padre (1991) e The Boxer (1997), il principale artefice delle controversie legate al progetto. Reduce da screzi con la casa di produzione del film - la Morgan Creek Productions - Sheridan, che ha improvvisato parecchie scene perché insoddisfatto del copione di David Loucka, si è visto letteralmente cambiare, a sua insaputa, gran parte del proprio lavoro dagli stessi produttori.
Ne è quindi scaturito un film del tutto diverso da quelle che erano le intenzioni di Sheridan, il quale, a seguito di quanto accaduto, ha scelto di disconoscere la pellicola rivolgendosi addirittura alla DGA (Directors Guild of America) per far togliere il suo nome dai crediti. Con lui, si è schierato anche l’altisonante cast: Daniel Craig, Rachel Weisz e Naomi Watts i protagonisti, rifiutatisi di partecipare alla campagna promozionale del film e di rilasciare interviste alla stampa.

MALEDETTI FANTASMI

Come dar torto, dunque, al povero Sheridan? Proteste del tutto giustificate, le sue, perché, già dal trailer italiano “assassino” - che non si fa problemi nel rivelare a voce squillante quello che è forse il principale colpo di scena dell’intero film - ci si rende conto che Dream House è, senza girarci troppo intorno, un pastocco di proporzioni epiche, visibilmente montato con l’accetta e che manca, più d’ogni altra cosa, di una vera e propria ragion d’essere.
Lo spunto è lo stesso da cui sono partiti, negli anni, centinaia di film con al centro dimore infestate dai fantasmi, dallo storico Amityville Horror (1979) di Stuart Rosenberg all’indimenticato La casa (1981) di Sam Raimi; Will e Libby Atenton, insieme alle due figliolette, si trasferiscono dalla caotica New York in un tranquillo paesino del Connecticut, andando a vivere in quella che sembra, in tutto e per tutto, la casa dei loro sogni. Ben presto, però, la famiglia si accorge di essere spiata da un losco individuo e viene inoltre a sapere che gli ex inquilini della casa sono stati brutalmente uccisi anni prima...
Curioso ibrido tra lo scorsesiano Shutter Island (2010) e il meno recente The Others (2001) di Alejandro Amenábar, con vaghi e imprudenti richiami a Shining (1980) - testimoniati dalle due bambine presenti sul poster - nelle intenzioni di Sheridan, Dream House avrebbe probabilmente dovuto essere un ambizioso tentativo di donare nuova linfa al cinema delle case stregate, una sorta di spartiacque, insomma, che andasse a toccare tutte quelle corde cui, sino ad oggi, nessun prodotto basato su questo tema è mai riuscito neanche ad avvicinarsi.
Ma, al cospetto dei suddetti titoli e a quello che si crede possa essere quantomeno un thriller psicologico con venature horror, ne risulta, alla fine, uno sciatto psicodramma che, nella prima metà, riesce anche a rendersi interessante grazie a una tensione palpabile, scadendo però nella seconda con soluzioni banali e passaggi incomprensibili (si sente in questo caso la mano dei produttori più che quella di Sheridan).
Principale pecca della pellicola è quella di non arrivare mai al dunque, o meglio, di arrivarci sempre in modo superficiale e senza quel tocco di maestria che ci si aspetterebbe da un regista capace come Jim Sheridan.
Purtroppo, anche l’apprezzabile interpretazione di Daniel Craig, visibilmente spaesato come tutti gli altri interpreti (tra cui si segnalano degli inguardabili Marton Csokas ed Elias Koteas), finisce per svilirsi in un film che abbonda di retorica e di falsità, testimoniando, se non altro, che la mancata riuscita di un progetto cinematografico non è sempre da attribuire al suo regista. La prima voce in capitolo spetta infatti a chi ci mette i soldi.

Dream House Reduce da un colossale flop di incassi e da svariate traversie produttive, arriva in sala la nuova pellicola di Jim Sheridan, che ne disconosce il contenuto insieme agli attori. Si tratta infatti di un prodotto scialbo, pasticciato e inconsistente, che regge per la prima parte grazie a una buona tensione ma scade pietosamente nella seconda con trovate più bizzarre che originali. Si salva solo Daniel Craig per la sua buona interpretazione, pur sembrando capitato sul set per caso durante una pausa da 007.

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