Recensione Doppio Gioco (2013)

Un thriller coinvolgente che si muove in punta di piedi sulla scacchiera dei sentimenti

Recensione Doppio Gioco (2013)
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Irlanda, 1973. Collette McVeigh è ancora una bambina quando diventa (suo malgrado) responsabile dell'accidentale morte del fratello più piccolo, rimasto ucciso in uno scontro a fuoco mentre andava a comprare le sigarette al padre (al posto della sorella). Vent'anni dopo Collette è una madre single con un figlio a carico e ha scelto di diventare un fedele membro dell'IRA per scontare il senso di colpa di quel fratello perso tanti anni prima. Una ‘attività' portata avanti, al fianco degli altri suoi due fratelli Connor e Gerry e sotto l'occhio sempre vigile dell'ormai anziana madre, fin quando (a seguito del fallimento di un attentato dinamitardo a Londra) Collette non verrà catturata dall'MI5 (l'agenzia per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito) e sarà costretta a decidere se passare i successivi 25 anni in carcere e lasciare suo figlio a sé stesso o diventare una spia dell'MI5 e tradire dunque gli ideali e la fiducia che tengono insieme la sua famiglia. Ma nel sottile gioco di spionaggio e tradimenti non tutto è come sembra e tra la determinata Collette e l'agente dell'MI5 Mac (Clive Owen) l'ombra di un grande Doppio Gioco s'insinuerà facendo perdere a più riprese le tracce delle loro presunte verità.

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James Marsh (The King, Project Nim) affronta con Doppio Gioco il tema politico di una Guerra di ideali (quella portata avanti dalla lotta armata dell'IRA - Organizzazione militare clandestina sorta, con il nome di Irish Volunteers, nel primo decennio del Novecento per liberare l'Irlanda dal dominio inglese) che si stringe sempre di più su sé stessa, fino a diventare una faida famigliare impossibile da sedare se non con ulteriori spargimenti di sangue. Il regista britannico sceglie dunque la via di una ‘privatizzazione' del conflitto sociale, indagando non tanto i sentimenti che si agitano all'interno dei gruppi di lotta, quanto il dolore e l'angoscia che sarà costretta ad attraversare Collette (già prematuramente segnata dalla morte del fratellino in tenera età) quando dovrà decidere se salvare suo figlio o ciò che resta della sua famiglia. Un conflitto interiore che si specchierà poi nell'impasse esistenziale di Mac, diviso tra la volontà di fare al meglio il suo lavoro e la mancanza di regole ‘morali' cui sembrano fare capo i suoi colleghi. Dunque una doppia diatriba etica ed esistenziale che affiancherà i due protagonisti nella ricerca della cosa ‘giusta' da fare ma che non mancherà di generare conflitti e incomprensioni e anche qualche vaga nostalgia amorosa tra i loro emisferi d'azione. Marsh tralascia dunque il piano politico per affezionarsi (e farci affezionare) al piano umano, stretto attorno al dramma di una donna afflitta da un senso di colpa lancinante e infine decisa ad assicurare a sé e suo figlio la scelta verso il male minore. Si tratta di un film con una buona tensione emotiva, ben sostenuta sia dalla protagonista Andrea Riserborough, perennemente attraversata da una sofferenza espressiva che ne tradisce il conflitto interiore, e sia dal coprotagonista Clive Owen, altrettanto convincente nel suo essere espressione di uno stato conflittuale. Nonostante qualche ingenuità di sceneggiatura e un paio di scene tutto sommato superflue, il film di Marsh riesce comunque nell'obiettivo di mostrare il gioco di ombre (shadow dancer è il titolo originale) che avviluppa due opposte esistenze, accompagnando l'impasse verso una resa dei conti che infine (ri)vendica e conferma l'anima da thriller esistenziale dell'opera.

Doppio Gioco Il regista britannico James Marsh porta al cinema un conflitto politico e sociale che infine muta in conflitto famigliare e interiore. Attraverso le dinamiche speculari di due protagonisti similmente afflitti da una ‘scissione ideologica ed emotiva’ e grazie alla scelta di un piano narrativo sempre molto personale, Marsh riesce a veicolare tutta la sofferenza di una lotta che infine si ingaggia con sé stessi e con lo zoccolo duro dei propri ideali. Un’efficace trasposizione di sentimenti in lotta declinati attraverso la lotta reale (armata e sanguinosa) e quella virtuale, tutta 'giocata' entro gli accidentati confini del cuore e della mente.

7

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