Recensione Con gli occhi dell'assassino

Il terrore cieco di Guillermo del Toro

Recensione Con gli occhi dell'assassino
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"Ci sono molti film su donne o personaggi che non vedono. Ma non sono molti quelli che raccontano la storia di qualcuno che perde la vista. Il mio non è un film su una donna cieca. E' un film su una donna che lo diventa. Ma prima di perdere la vista per sempre, dovrà vedere le cose, le cose importanti; che non aveva mai visto prima e queste potrebbero essere sia belle che terribili".
Così Guillem Morales, autore del thriller El habitante incierto (2004), descrive Los ojos de Julia (come s'intitola in patria il film), suo secondo lungometraggio ad alta tensione che, questa volta, vede addirittura coinvolto in qualità di produttore l'osannatissimo Guillermo del Toro, autore di Hellboy (2004) e Il labirinto del fauno (2006).
Al centro della vicenda, la Belen Rueda di The orphanage (2007) nei panni di Julia, la quale, affetta da una malattia degenerativa che le causa la perdita progressiva della vista ed avvisata che la sorella gemella si è tolta la vita impiccandosi, si convince che in realtà le cose non stanno affatto così e che la morte in questione non sia altro che una messa in scena legata a un terribile segreto di famiglia.

Terrore cieco

E' subito chiaro, quindi, che Morales, ancor prima di rifarsi alla tradizione horror iberica, spaziante da quella vecchia di Amando De Ossorio e Jess Franco a quella d'inizio XXI secolo rappresentata dai vari Balagueró e simili, si riallacci direttamente al filone della suspense su celluloide che ha avuto modo di darci titoli del calibro de Gli occhi della notte (1967) di Terence Young e Terrore cieco (1971) di Richard Fleischer.
Ma, all'interno della tesa storia di Julia, il cui tempo a disposizione per scoprire chi si nasconde dietro l'omicidio della sorella scorre via velocemente mentre la sua vista si affievolisce, si avverte in un certo senso anche l'influenza del sottovalutato Fred Walton, regista di Quando chiama uno sconosciuto (1979) e del suo tardo sequel televisivo Lo sconosciuto alla porta (1993).
Anche se, a partire dall'inizio shock con la donna che s'impicca, è soprattutto il cinema di paura italiano a tornare alla memoria, sia a causa di una certa aria alla Lucio Fulci (forse derivata da ...e tu vivrai nel terrore! L'aldilà), sia per l'impianto generale che sembra rimandare direttamente al Dario Argento del periodo d'oro (quello di Profondo rosso e Tenebre, per intenderci).
E Morales, che, forte della fotografia ricca di contrasti a cura dell'Óscar Faura il cui curriculum include proprio il succitato The orphanage, privilegia una efficace atmosfera cupa già a partire dalla piovosa sequenza d'apertura, dimostra di saper sfruttare a dovere l'obiettivo di ripresa, costruendo un intrigo su celluloide con notevole tecnica. Un intrigo destinato a infittirsi man mano che entrano in scena altri personaggi e aumentano le vittime, senza dimenticare qualche effetto splatter ben fatto. Fino alla serratissima corsa all'epilogo dei circa 112 minuti di visione che, in parte confusi per quanto riguarda la rivelazione finale, rischiano soltanto di risultare ridicoli quando virano sul sentimentale (la situazione pre-titoli di coda è da dimenticare).

Con gli occhi dell'assassino Sotto la produzione di Guillermo del Toro, lo spagnolo Guillem Morales realizza il suo secondo lungometraggio riallacciandosi direttamente alla vecchia tradizione dei thriller incentrati su donne non vedenti. Con il nostro Dario Argento quale probabile referente principale, ne viene fuori un prodotto ad alta tensione che, forse eccessivamente lungo, riesce comunque nell’impresa di coinvolgere lo spettatore dall’inizio alla fine, grazie soprattutto alla cupa e inquietante atmosfera splendidamente resa dalla fotografia. Un prodotto che, tecnicamente impeccabile, rischia soltanto di scadere a volte nel ridicolo, oltre ad apparire in parte confuso nel corso dello scioglimento della matassa.

6.5

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