Recensione Clown

Eli Roth produce uno dei migliori horror post-2010

Recensione Clown
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Nella sua più classica concezione popolare, il più delle volte lo intendiamo abbigliato in maniera buffa e colorata, anche se non mancano le occasioni in cui, in particolar modo grazie ad una lacrima disegnata sul suo viso, lo vediamo rappresentato in versioni tristi o maggiormente legate all'universo romantico.
Del resto, sfruttato soprattutto nell'ambito di variopinte esibizioni circensi, il pagliaccio - o clown, come viene chiamato internazionalmente - ha lo specifico compito di intrattenere il pubblico regalandogli divertimento; sebbene, a quanto pare, la cultura horror non abbia affatto esitato a trasformarlo nelle sue creature nei confronti di cui bisogna giustamente provare terrore.
Inutile dire che il primo esempio che balza alla memoria sia il Pennywise nato dalla penna del Re della paura su carta Stephen King ed interpretato da Tim Curry nella mini-serie televisiva It (1990), trasposizione dell'omonimo romanzo; ma tutti coloro che prestano non poca attenzione al genere sanno benissimo che in molte altre occasioni i buffoni dal volto truccato hanno avuto modo di manifestarsi sullo schermo con intenzioni tutt'altro che benevoli.
Sarebbe sufficiente citare i tre malati di mente impegnati a tormentare altrettanti fratellini in Clownhouse (1989) di Victor Salva, oppure l'orda di alieni mascherati e scesi sulla Terra per eliminare in maniera demenziale chiunque capiti sulla loro strada in Killer klowns from outer space (1988) di Stephen Chiodo; senza contare l'ammazza-donne di Fuori nel buio (1988) di Michael Schroeder e lo psicopatico che tenta di uccidere quattro ragazzi rimasti intrappolati in un vecchio teatro dell'opera in The clown at midnight (1999) di Jean Pellerin.

Pagliacciata in tragedia

Titoli cui va ad aggiungersi Clown (2014) di Jon Watts, il quale si avvale della produzione di Eli Roth - autore dei primi due Hostel (2005 - 2007) e di The green inferno (2013) - per il suo primo lungometraggio cinematografico concepito allontanandosi dagli spot pubblicitari e dai videoclip, che hanno entrambi costellato la sua formazione professionale.
Lo stesso Roth che fa anche una breve apparizione nel corso della oltre ora e quaranta di visione destinata a prendere il via dal momento in cui l'agente immobiliare Kent alias Andy Powers, deciso a rimpiazzare il clown che non si è presentato alla festa del decimo compleanno del figlio Jack, ovvero Christian Distefano, indossa un vecchio costume per risolvere la situazione.
Senza immaginare, però, che quelli con i quali si addormenta addosso esausto e che, a quanto pare, non riesce più a togliersi, siano, in realtà, i capelli e la pelle di un demone che viveva nell'antichità tra i ghiacci e il cui passatempo preferito, durante i mesi più freddi dell'anno, era scendere nei villaggi per nutrirsi degli abitanti più piccoli.

L’horror che si... Salva

Ma i dolorosi tentativi attuati dal protagonista - con tanto di accidentali ferite - per strapparsi di dosso il naso rosso, la parrucca e tutto il resto, occupano soltanto la primissima parte di uno spettacolo di celluloide che, disturbante nella giusta misura evitando gli eccessi da torture porn, non fatica ad ottenere un accostamento ai migliori lavori del succitato Salva.
Il Salva che ha avuto seri problemi con la giustizia a causa di una squallida storia di pedofilia che, a ben guardare, sembra facilmente leggibile tra i fotogrammi della sua saga Jeepers creepers; il cui mostro, in maniera analoga a quello qui proposto da Watts e dal co-sceneggiatore Christopher D. Ford, tornava in cerca di cibo, ogni ventitreesima primavera, per ventitré giorni.
Proprio come l'essere clownesco, di cui vengono fornite spiegazioni da uno strepitoso Peter"Fargo"Stormare nei panni del bizzarro Karlsson, non può fare a meno di lasciarsi interpretare in qualità di allegorica incarnazione della violenza verso i minori spesso nascosta, appunto, dietro figure per loro rassicuranti e che non esita ad annidarsi neppure all'interno dei più lindi contesti borghesi.
Contesti in cui rientra, non a caso, anche quello del nucleo familiare costituito da Jack, Kent e la moglie Meg, interpretata dalla Laura Allen di Daddy sitter (2009) e che tenta in ogni modo di far fronte alla tragica situazione volta a portare il marito a mutarsi progressivamente nel temibile orco mangia-bambini.
Per approdare a tesissime sequenze come quella finale ambientata in casa attraverso un riuscitissimo racconto per immagini che, costruito su lenti ma altamente coinvolgenti ritmi narrativi, ricorre alla CGI esclusivamente per effettuare qualche invisibile ritocco al lodevole lavoro di prostetica (tra i truccatori abbiamo il mitico Tony Gardner attivo già ai tempi dei raimiani Darkman e L'armata delle tenebre).
Tirando in ballo, senza farsi troppi problemi, indispensabili dosi di cattiveria opportunamente corredate, quando necessario, di emoglobina e frattaglie sparse.

Clown Con Eli”Cabin fever”Roth coinvolto in vesti di produttore, Jon Watts torna a rendere protagonista di un film dell’orrore la figura del pagliaccio, ricordata in versione aggressiva soprattutto grazie alla trasposizione televisiva del kinghiano It. Il suo Clown, infatti, è un demone affamato di bambini in cui si trasforma, progressivamente, un agente immobiliare dopo aver indossato, in occasione del compleanno del figlio, quello che non sembrava essere altro che un innocuo costume. Con una bella regia che lascia tranquillamente intuire l’influenza da parte della mitica old school e la sempreverde King of clowns di Neil Sedaka pronta a fare la sua entrata nella colonna sonora, un coinvolgente elaborato che non concede spazio a distrazioni gestendo con abilità attesa, spargimento di cadaveri e splendidi momenti ad alta tensione. Testimoniando che, nonostante la tendenza - soprattutto americana - d’inizio terzo millennio a relegare il genere soltanto ad anonimi remake e stanchi sequel, il filone cinematografico della paura, ad oltre un secolo dalla nascita della Settima arte, può ancora rivelarsi in grado di rigenerarsi e di offrire al pubblico storie ricche di originalità.

7.5

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