Recensione Città di carta

Nuovo titolo Young Adult tratto dall'omonimo romanzo di successo, il film di Jake Schreier realizza un viaggio on the road a misura di ragazzi, puntando su un certo senso di familiarità con il precedente Colpa delle stelle.

Recensione Città di carta
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Un'Isola che non c'è moderna: possiamo spiegare così l'essenza di una "Città di carta", definizione suggestiva che dà il titolo all'omonimo film, in sala il 3 settembre e presentato al pubblico in anteprima durante il Giffoni Film Festival. Parte tutto da qui, da un puntino su una cartina geografica che indica un posto che in realtà non esiste. Un trucco, se vogliamo semplificare, usato dai cartografi per rivendicare la paternità del proprio lavoro. Ecco lo spunto per il romanzo scritto da John Green ed edito da Rizzoli: dopo il caso letterario e cinematografico di Colpa delle stelle, arriva in sala il secondo adattamento di un suo libro (anche se scritto sei anni prima della storia di Hazel e Gus). Le tematiche trattate dall'autore sono molto simili in tutti i lavori e ruotano attorno all'adolescenza, tra viaggi fantastici o reali e ricerche infinite (di se stessi, ma anche dell'amore). Città di carta realizza un viaggio on the road a misura di ragazzi, puntando su un senso di familiarità già creato con Colpa delle stelle, non a caso il protagonista Quentin Jacobsen è interpretato da Nat Wolff, che nella precedente pellicola dava il volto al miglior amico di Ansel Elgort.

Colpa delle stelle 2.0

I rimandi - con un cameo graditissimo - ci sono e si notano perché in fondo sembra che l'ispirazione a Green venga sempre dai casi disperati, dagli studenti meno popolari del liceo, dai cosiddetti "loser" o "underdog" per dirla all'americana. E puntualmente questa schiera di adolescenti invisibili e responsabili perde la testa alla ricerca di una chimera, la reginetta del ballo, che in questo caso ha le sembianze feline della modella Cara Delevingne, alias Margo Roth Spiegelman.
Agli occhi degli altri studenti lei è una Barbie perfetta e inarrivabile, un'ideale a cui tutte le coetanee aspirano e che ogni giocatore di football vorrebbe esibire come trofeo. Solo Quentin ha l'assoluta certezza che la sua ex compagnia di giochi dell'infanzia nasconda un'anima più profonda e travagliata, sfuggente e quindi speciale.

Il mistero continua

Quando lei, per l'ennesima volta, scappa di casa neppure i genitori sembrano troppo preoccupati, liquidano la questione come l'ennesimo tentativo di attirare l'attenzione. Ma Quentin non si arrende e, coinvolgendo il manipolo buffamente assortito di amici, si lancia alla ricerca degli indizi che puntano tutti verso la città di carta che ospita l'amica. Nessuno di loro è una spalla senza spessore, anche grazie alle intuizioni geniali dell'autore, come l'insolita passione dei genitori di Radar (Justice Smith) che collezionano Babbo Natale di colore, declinati in ogni forma d'arredo e in ogni suppellettile, dalla biscottiera al copri water.
Anche il pubblico, allora, si sente coinvolto in questa caccia al tesoro, oscillando tra preoccupazione ed esaltazione man mano che ogni pezzo del puzzle trova il suo posto.
Le situazioni bizzarre e pericolose a cui il gruppo va incontro danno ritmo ad un racconto che altrimenti avrebbe rischiato di amplificare insicurezze e paranoie del protagonista, tra contorte elucubrazioni mentali e sospiri d'amore (diciamolo pure) verso una ragazza che non ci ha pensato su due volte a mollare tutto e tutti (lui compreso) senza una spiegazione.

Un amore unidirezionale

I tipi buoni, è credenza comune, finiscono sempre per innamorarsi delle egocentriche viziate che ne strapazzano i sentimenti dopo averli illusi e usati. Che Margo rientri o meno nella categoria sta a voi stabilirlo, ma a dipingere un'immagine di lei molto simile a questo prototipo femminile algido e distaccato ci pensa l'interpretazione imbronciata di Cara Delevingne, sempre sovranamente indifferente rispetto al resto dei comuni mortali dall'alto del suo (presunto) piedistallo intellettuale.
Questa giovane tiranna prima si assicura una gustosa vendetta per i torti che ritiene di aver subito e poi fa la sua teatrale uscita di scena. Non prima, però, di aver lasciato tracce di sé sparse un po' ovunque, che Quentin, provvisto di una scorta gigante di devozione e adorazione, fa di tutto per seguire.
Si può leggere la storia come una metafora della ricerca di se stessi o dell'amore idealizzato, in alternativa godersi la commedia senza cercare significati reconditi. Come insegna Margo, a volte la risposta più semplice è quella giusta e chi si arrovella troppo per ammantare la verità con un velo di perfezione non fa altro che coltivare un'illusione.

Città di carta I fan del romanzo non resteranno delusi. Ricreando quasi sempre fedelmente le atmosfere del libro, il film snellisce i passaggi troppo lenti e ripetitivi nelle pagine e, per fortuna, restituisce all'antieroina in fuga un po' di cuore. E agli altri potrebbe venir voglia di leggerlo...

7.5

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