Recensione Chiamatemi Francesco

Regista di Mio fratello è figlio unico, Daniele Luchetti ripercorre attraverso Chiamatemi Francesco il viaggio umano e spirituale di Jorge Bergoglio, meglio conosciuto come Papa Francesco.

Recensione Chiamatemi Francesco
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Ripensando al momento in cui il comico pugliese Checco Zalone, nel 2011, combinava una delle sue all'allora Papa Benedetto XVI in Che bella giornata, viene quasi da sorridere nel vedere che, quattro anni più tardi, il produttore Pietro Valsecchi si sia trovato a finanziare con Chiamatemi Francesco un lungometraggio riguardante il sommo pontefice che ha succeduto Ratzinger, a proposito di cui osserva: "L'idea di fare un film su Papa Francesco mi è venuta dopo poco tempo dalla sua elezione, perché mi ha colpito fin dalle sue prime uscite la straordinaria statura morale e la forza rivoluzionaria del suo apostolato. Ho iniziato allora a documentarmi, ho letto libri, interviste, e in un primo momento mi sono focalizzato sul libro di Evangelina Himitian Francesco il Papa della gente. Poi, approfondendo di più la sua biografia ho trovato che c'era molto altro non trattato in questo libro e ho quindi deciso di distaccarmene. A quel punto nel progetto avevo coinvolto Daniele Luchetti e con lui siamo stati in Argentina all'inizio del 2014 per incontrare amici di gioventù di Bergoglio, sacerdoti che hanno lavorato fianco a fianco con lui, per farci raccontare chi era questo uomo che è ‘venuto dalla fine del mondo' (come ha detto la sera della sua elezione) per rivoluzionare la Chiesa".

Bergoglio e pregiudizio

Ed è partendo dalla Buenos Aires del 1960 che l'autore de Il portaborse e Mio fratello è figlio unico racconta il percorso che ha portato il figlio di immigrati italiani Jorge Bergoglio dalla capitale argentina alla guida della Chiesa cattolica.
Un Jorge Bergoglio cui concede anima e corpo il Rodrigo De La Serna de I diari della motocicletta nel periodo che va dal 1961 al 2005, per poi assumere i connotati di Sergio Hernández durante la fase conclusiva dell'insieme, volto a ricostruire un viaggio umano e spirituale di oltre mezzo secolo sullo sfondo di un paese che ha vissuto momenti storici controversi.
Perché, al di là del periodo precedente alla vocazione che porta il protagonista poco più che ventenne ad entrare nel rigoroso ordine dei Gesuiti, con una giovinezza che lo vede affiancato da fidanzata, amici e una professoressa di chimica cui il protagonista rimane legato per tutta la vita, è la terribile dittatura di Videla ad essere affrontata nel corso della quasi ora e quaranta di visione.
Ora e quaranta già pensata per essere dilatata a quattro puntate da circa cinquanta minuti ciascuna quando verrà trasmessa sul piccolo schermo e che, di conseguenza, spiega attraverso questo aspetto il suo look tutt'altro che distante da un'operazione destinata al piccolo schermo.
Operazione che, comunque, non manca affatto di crudezza e coraggio nell'inscenare la violenza e le morti che hanno tempestato la fase della vita di un Bergoglio impegnato in prima persona nella difesa dei perseguitati dal regime, ma anche destinato a vedere scomparire alcuni dei suoi più amati compagni di strada.
Man mano che il ritratto cinematografico del semplice ed altamente umano pontefice postosi all'attenzione di tutti nel 2013 si rivela un onesto biopic discretamente ritmato e cui, al massimo, possiamo rimproverare un doppiaggio non sempre all'altezza.

Chiamatemi Francesco Si comincia nella Buenos Aires del 1960, per poi attraversare gli anni della dittatura argentina di Videla - tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta - e approdare all’elezione di Papa Francesco. Con particolare attenzione nei confronti della seconda delle tre fasi, Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti svolge onestamente e senza eccellere il suo compito di fornire su schermo la biografia di un popolare uomo di fede battutosi per gli abitanti delle periferie, difendendoli dalle sopraffazioni del potere e promuovendone la crescita individuale e collettiva. Che poi risenta di un certo look televisivo è un altro conto, considerando che è stato concepito proprio per essere dilatato a fiction per il piccolo schermo.

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