Recensione Chaotic Ana

Recensione del film diretto dallo spagnolo Julio Medem

Recensione Chaotic Ana
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Cresciuta con un padre che le ha fatto da madre, appena diciottenne e del tutto inconsapevole del baratro nel suo inconscio, Ana (Manuela Vellés), figlia di una nuova generazione hippy che dipinge immagini piene di ottimismo e felicità, nasconde in realtà dentro di se un paesaggio di buio che teme.
E' lei la protagonista del lungometraggio diretto dallo spagnolo classe 1958 Julio Medem, regista di Tierra (1996) e Gli amanti del circolo polare (1998), ma, soprattutto, di quel Lucia y el sexo (2001) che, campione d'incassi, lanciò la stella del cinema iberico Paz Vega, poi rivista anche in produzioni d'oltreoceano quali Spanglish-Quando in famiglia sono in troppi a parlare (2004) di James L. Brooks e 10 cose di noi (2006) di Brad Silberling.
Ed è durante una seduta di ipnosi che Ana non solo scopre di non essere sola, ma viene a sapere che dentro di lei vivono le anime di ragazze vissute in diverse epoche e decedute tutte in misteriose e tragiche circostanze all'età di ventidue anni.
Quindi, è la lotta della ragazza contro il tempo per scongiurare un destino che appare ineluttabile a fare da fulcro a quella che, progressivamente, prende la forma di una visionaria storia di reincarnazione e amore senza fine, della quale il regista osserva: "Sono veramente orgoglioso di questo viaggio che mi è stato regalato da un film sulle donne. Sono stato accompagnato da mia sorella Ana, a cui presi la mano molti anni fa per aiutarla a fare i primi passi. Dalle mie nuove meravigliose compagne di avventura Montse e mia figlia Ana, dal ricordo del giorno in cui vidi per la prima volta Manuela Vellès e Jocelyn Pook (autrice della colonna sonora, nda). Ecco le mie cinque muse per il film, cinque donne per Ana".

Ana y el sexo

Infatti, chiude con la didascalia "A mia sorella Ana che se ne è andata, a mia figlia Ana che è arrivata" la pellicola, che apre invece all'interno di una riserva di caccia in Andalusia, dove il volo tranquillo di una allodola viene disturbato da un falco incappucciato appollaiato sul braccio del suo trainer, incarnando metaforicamente il secolare scontro tra il sesso maschile e quello femminile.
Perché, dalla prima inquadratura fino al violento scontro finale in una suite illuminata sulla cima di un moderno grattacielo di New York, è il mito uterino della creazione contrapposta all'ideale di violenza perpetuata dall'uomo (cacciatore maschio che, a differenza della donna, è capace solo di togliere la vita, non di donarla) a dominare l'ideale arco mitologico della storia di Ana, madre e allo stesso tempo amante, principessa e nel contempo presenza mostruosa contenente al suo interno l'origine del caos.
Storia che ci porta alle sequenze della seduta ipnotica solo dopo circa quaranta minuti di visione, mentre tira in ballo diversi personaggi destinati ad avere non poca importanza, a partire dalla mecenate francese Justine (Charlotte Rampling) che, rimasta affascinata dalla personalità solare della ragazza e dalla sua arte fatta di colori brillanti e apparentemente piatti, la convince a seguirla a Madrid e prova a diventarne la madre che non ha mai avuto.
Personaggi che includono anche il giovane pittore Said (Nicolas Cazalé), divorato dai ricordi della guerra che gli portò via i genitori, e Linda (Bebe Rebolledo), la quale, divenuta subito amica di Ana tanto da riprenderla con la videocamera durante le sedute d'ipnosi presso Anglo (Asier Newman), ha una visione decisamente negtiva del sesso maschile e femminile.
Ed è proprio il suo modo d'identificare gli uomini come violentatori e le donne quali egocentriche istiga-sesso ad accompagnarci per quasi tutto il lungometraggio, non privo di erotismo e caratterizzato da situazioni che sfiorano perfino l'horror.
Un lungometraggio sicuramente lodevole sia dal punto di vista tecnico che da quello recitativo, ma che, infarcito anche con brevi momenti d'animazione e vagamente attraversato da sottotesti socio-politici, insiste in maniera eccessiva sul pedale delle metafore, risultando del tutto comprensibile solo per la più colta fetta di pubblico. Oltre ad essere un po' troppo lungo (siamo sui 112 minuti).

Chaotic Ana Regista dell’acclamato Lucia y el sexo, lo spagnolo Julio Medem torna dietro la macchina da presa con una nuova storia tutta al femminile riguardante questa volta reincarnazioni e amori senza fine. Tra nudi e situazioni che sfiorano l’horror, però, l’insieme s’impronta eccessivamente su metafore, simbologie e analogie colte, tanto da risultare sì apprezzabile, ma di certo non adatto a tutti i palati.

6

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