Recensione Carol

Dopo Lontano dal paradiso Todd Haynes torna a raccontarci l’amore interclassista ed omosessuale orchestrando una danza stilistica che si muove intorno a Cate Blanchett e Rooney Mara, restituendo un piccolo gioiello.

Recensione Carol
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1952, un natale come gli altri: all'interno di un centro commerciale lavora Therese, sguardo basso ed espressione perennemente persa tipica di chi si affaccia alla vita con ancora un po' di indecisione, come se non avesse capito il suo posto nel mondo. Si occupa del reparto bambole ma ama i trenini elettrici, tanto da consigliarli ad una cliente indecisa per il regalo di natale di sua figlia. La cliente è bionda, avvenente, sguardo sempre alto ed espressione perennemente sicura di sé tipica di chi invece sembra possedere intimamente tutto ciò che la circonda. Therese e Carol iniziano grazie ad un trenino elettrico un viaggio di crescita per una e di consapevolezza per l'altra, che inizia con una richiesta e finisce con uno sguardo davanti ad uno stesso tavolino, con in mezzo un'intera vita semplicemente ricordata, guardata attraverso il vetro di un Taxi. La stessa scena, quella iniziale e quella finale, mostrata attraverso un punto di vista invertito a simboleggiare la crescita della protagonista, che Todd Haynes sembra voler raccontare elevando lo stile all'estremo e dipingendo ogni inquadratura con un manierismo da manuale. Il passo a due di Carol e Therese è delicato ma intenso, si fonda su una narrazione costantemente accarezzata da una tensione erotica lasciata sulla superficie, un gioco fatto di piccoli tocchi - di quelle mani su cui Haynes costantemente si sofferma: le osserva come un bambino curioso, le incastra nelle sue inquadrature, strizza l'occhio allo spettatore ogni volta che le due protagoniste si sfiorano anche solo per un istante di congedo in un ristorante.

Un amore che negli anni cinquanta non doveva esistere, raccontato con un manierismo da scuola di cinema

Sembra di essere tornati, con Carol, un po' a Lontano dal Paradiso: di nuovo ed in maniera stavolta ancora più evidente Todd Haynes ci trascina all'interno di differenze di classe e sociali, di un amore omosessuale che all'interno dell'America degli anni cinquanta è impossibile da poter vivere senza subire terribili conseguenze. In questa mancata evoluzione può essere riscontrato probabilmente l'unico vero difetto del film, che tuttavia appare per il resto come un piccolo gioiello finemente lavorato in ogni suo dettaglio. La stilizzazione assoluta di ogni inquadratura si fregia della meravigliosa fotografia di Ed Lachman, che aiuta la costruzione di ogni secondo di messa in scena - perfetto, regolato ad arte, di un'eleganza talmente estremizzata da costruire la pellicola fino ad entrare nel film stesso, ed avvolgere le due protagoniste. Non c'è spazio per il cromosoma Y all'interno della narrazione: la scena è tutta di Cate Blanchett e Rooney Mara, splendide protagoniste che catturano l'essenza del film nei loro sguardi ed interrompono la freddezza manierista di Haynes quando la passione finalmente si libera.

Girl power: tre donne al centro della narrazione, per tre ruoli diversi ma ugualmente sfaccettati ed interessanti.


Oltre alla pregiata fattura tecnica, sono soprattutto le interpretazioni a rendere l'intera narrazione un piacere per gli occhi. Cate Blanchett prende possesso del film e del rapporto con Therese dal primo fotogramma, nello spazio di uno sguardo e di un semplicissimo sorriso, ma è Rooney Mara la vera sorpresa: il suo sguardo un po' perso, i suoi gesti delicati, il suo modo di tenere la macchina fotografica del suo personaggio come se fosse una finestra sul mondo rendono la sua interpretazione sofisticata e profonda. Perfino Sarah Paulson, nonostante i pochi minuti su schermo, riesce a creare un ottimo equilibrio e a rendere il suo personaggio interessante, quasi atteso man mano che la narrazione va avanti. Per le due protagoniste è d'obbligo una candidatura al premio d'interpretazione femminile, tanto quanto per Todd Haynes per la regia - decisamente meritevole ed evidentemente nel pieno di un percorso personale e professionale di gran fattura, che ci fa attendere volentieri i suoi prossimi lavori.

Carol Dopo Lontano dal Paradiso e Mildred Pierce, Carol si dimostra come il naturale proseguimento di un’evoluzione stilistica tendente all’assoluto da parte del regista Todd Haynes. I temi raccontati sono gli stessi e la sceneggiatura può sembrare a volte estremamente semplice, ma di fronte ad un cinema del genere - così elegante, ben costruito, meravigliosamente sofisticato - è impossibile non incantarsi dal primo all'ultimo minuto, e lasciarsi coinvolgere da un lavoro meritevole sotto ogni punto di vista.

8.5

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Cannes 2015
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