Recensione Bruno

Il secondo mockumentary del geniale Sacha Baron Cohen

Recensione Bruno
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"Sacha Baron Cohen e Will Ferrel sono i comici che preferisco fra quelli attualmente in circolazione". Tale dichiarazione, potrebbe semplicemente essere uno dei tanti, non del tutto veritieri attestati di stima che spesso si scambiano le star di Hollywood. Un'affermazione da prendere con le pinze.
Se però ad esternare tale opinione è un signore di nome Mel Brooks, il tutto andrebbe rivalutato sotto un'altra ottica: un maestro non ha certo bisogno di fare marchette di bassa lega facendo complimenti a colleghi più o meno emergenti. Fatto sta che il papà di Frankenstein Jr, nel libro monografico contenuto nel monster box dell'Italian Fan's Edition del film appena citato, parla in maniera molto lusinghiera proprio dei due comici in questione.
Tralasciamo, per ovvie ragioni, eventuali giudizi su Will Ferrell. Il comico inglese Cohen si è guadagnato il successo grazie alla sua graffiante satira, imbastita attraverso la creazione di vari alter ego (Ali G, Borat e Bruno) spacciati come autentici alle ignare vittime delle sue "burle" (o prank, come direbbero gli americani). Dopo ogni film, egli si vede costretto ad abbandonare le sue maschere perché una volta che queste guadagnano la notorietà globale assicurata dal cinema, il castello d'inganni crollerebbe inevitabilmente, rendendo difficile il non riconoscimento dell'attore. La sua abilità e il suo trasformismo (vocale e fisico), rendono in ogni caso arduo accostare l'ipertricotico e antisemita giornalista kazako Borat Sagdiyev con il depilatissimo fashionista Brüno Gehard. Pertanto nonostante il successo di pubblico avuto da Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, individuare Cohen dietro le attillatissime ed imbarazzanti mise del gaio Bruno è quasi del tutto impossibile per l'uomo della strada.

Road to fame.

Bruno Gehard (Sacha Baron Cohen) è stiloso, fashionista, depilatissimo, ha un assistente personale a sua volta munito d'i assistente (!) e ha un giovane partner asiatico, di dimensioni ridotte, col quale si diverte a praticare le più bizzarre attività sessuali.
In Austria conduce la trasmissione televisiva Funkyzeit Mit Bruno (Tempo di divertimento con Bruno), nella quale, insieme a vari ospiti, discute del look da sgualdrina di Paris Hilton e del perché vada tanto di moda l'autismo.
Ma nei suoi sogni c'è la fama planetaria.
La strada verso l'acquisizione di questa celebrità viene miseramente interrotta dopo il suo rovinoso servizio realizzato alla settimana della moda di Milano nella quale manda all'aria una sfilata e un guardaroba a causa del suo vestito di feltro, a seguito del quale viene persino arrestato.
Licenziato dall'emittente tv e lasciato dal suo miniboyfriend filippino, decide di trasferirsi negli Stati Uniti e tentare di diventare illustre in quella che a tutti gli effetti è la culla e la miniera d'oro dello show biz. A dargli man forte ci sarà l'assistente del suo assistente personale Lutz (Gustav Hammarsten), innamorato segretamente di lui da tanto, tanto tempo.

How do you protect yourself from a dildo?

Appare quasi inevitabile iniziare il lavoro d'analisi di questo "Bruno: Delicious Journeys Through America for the Pur pose of Making Heterosexual Males Visibly Uncomfortable in the Presence of a Gay Foreigner in a Mesh T-Shirt" (che in italiano suonerebbe più o meno come "Bruno: deliziosi viaggi in giro per l'America con lo scopo di mettere visibilmente a disagio degli uomini eterosessuali in presenza di uno straniero gay con una T-Shirt a rete") paragonandolo al precedente successo del brillante comico di credo ebraico, quel Borat che ha acceso come dei falò così tante polemiche in giro per il mondo complice una satira estremamente cattiva messa in scena da Sacha Baron Cohen. Al di là degli ovvi rimandi riguardanti i lunghissimi e comici sottotitoli dei due film e sul cast artistico e tecnico, ritroviamo alla regia lo stesso regista di Borat, quel Larry Charles artefice anche del recente Religulous, è la stessa struttura narrativa a presentare delle affinità evidenti.
Dopo un'introduzione descrittiva, che costruisce il background del fashionista Bruno utile per tutti coloro che non sono soliti frequentare il Da Ali G Show sul Comedy Channel di Paramount o youtube, il nostro Gay-Flamboyant, come ama autodefinirsi, intraprende, come il suo "collega" kazako, un viaggio attraverso l'America (con assistente al seguito) per tentare di raggiungere quel successo che, nelle sue intenzioni, lo porterà a diventare "The Biggest Austrian Superstar since Hitler". Stessa storia e stessa canzone? No di certo. Cohen è un comico di razza e, proprio per questo, nonostante la simile costruzione dell'intreccio, va a colpire duramente i tic che affliggono non solo i divi dello showbiz americano, ma tutto il sistema che tiene in piedi la redditizia baracca. Forse, questo va sottolineato, nonostante la veemenza della satira di Cohen, condotta con l'abituale gusto sadico, col quale riesce agevolmente a mettere in piazza le piccolezze delle sue vittime, appare meno nobile nell'intento dato rispetto a Borat, dove la vittima era l'American Way of Life nella sua accezione più estesa. In Bruno, la nobilissima denuncia di quelli che sono ancora oggi i timori e le discriminazioni nei confronti degli omosessuali (tematica piuttosto attuale in Italia in questi giorni di ripetute aggressioni ai danni di gay), devono coesistere con la presa per i fondelli del sistema divistico americano, mania per le adozioni compresa.
Certo, non mancano le sequenze forti, nelle quali l'istrionico attore inglese riesce a far emergere tutto il negletto modo di pensare di certuni. Difficile scegliere fra l'intervista al Pastore la cui missione è riportare gli omosessuali nei "giusti" confini dell'eterosessualità o la lezione di arti marziali in cui il sensei afferma senza mezze misure che gay ed terroristi sono la stessa cosa perché sono entrambi categorie difficili da riconoscere, senza farsi cogliere minimamente dal dubbio sulle preferenze sessuali del suo assistito quando Bruno gli chiede d'insegnargli a difendersi dall'aggressione di un gruppo di gay armati di dildo.
La satira di Cohen, come sempre, fa perno sulla caduta dei freni inibitori, verbali e non, da parte di chi gli sta davanti. Come in Borat, usa la tattica "sleale" e geniale del porsi in una posizione interlocutoria "inferiore", asimettrica rispetto all'altro parlante: quasi rassicurati dalla stravaganza di domande effettuate da Bruno, le vittime tirano fuori il peggio da loro stesse. Vedere delle madri pronte a far vestire i propri infanti come dei nazisti, o attaccati ad una croce durante i colloqui per un ipotetico film in cui sono richiesti, appunti, dei bimbi, è sintomatico di quanto l'apparire abbia ormai soppiantato qualsiasi altro valore. Viviamo in un circo Barnum di dimensioni globali. Il metodo di Cohen è inubbiamente sgradito a molti, e il suo modus operandi pone il caustico autore sullo stesso piano degli scorrettissimi (e da noi adorati) Trey Parker e Matt Stone di South Park. Per quanto ci riguarda, non possiamo fare altro che applaudire a scena aperta chi ha la faccia di bronzo d'intervistare un esponente politico israeliano e uno di hamas rivolgendo loro delle domande in cui confonde l'hummus, la gustosa salsa a base di ceci e semi di sesamo apprezzata tanto dagli israeliti quanto dagli arabi, con hamas, causando un buon livello di sconcerto. Per non parlare di quando Coehn, ebreo osservante, passeggia con una misé piuttosto audace per la zona a maggior concentrazione di ebrei ortodossi di tutta Tel Aviv rischiando di finire pestato.
Rispetto a Borat, si nota un incedere più slegato ed episodico della trama, in cui è più facile percepire dall'esterno chi sono i complici della satira di Sacha Baron Coehn, come ad esempio nell'esilarante sequenza del Richard Bey Show o quella di apertura alla settimana della moda di Milano, ma gli attimi realmente genuini in cui lo stesso Cohen rischia se non la pelle, quantomeno di beccarsi una sonora quantità di legnate sono davvero molti e vi lasceremo il gusto (o il disgusto) di scoprirli da soli.

Bruno L’istrionismo, il trasformismo del comico inglese raggiunge dei nuovi, sconcertanti ed inaspettati livelli: non viene quasi da credere che il depilatissimo Bruno e l’ipertricotico Borat siano intepretati dalla stessa persona. Se credevate che in Borat Cohen fosse stato capace di trascendere qualsiasi limite di buon gusto e decenza, aspettate di vedere questo Bruno, al cui cospetto il precedente film diviene quasi una puntata dei Teletubbies. E’ forse inevitabile che in fase di doppiaggio, buona parte dei giochi di parole andranno smarriti, a partire dalla parlata inglese con forti venature teutoniche di Bruno, così come molti riferimenti socioculturali. Che gli Stati Uniti non siano New York e Los Angeles, ma tutta l’ignoranza che sta nel mezzo è storia nota. Ed è questo di cui principalmente tratta Bruno. Ma in un paese come il nostro, così abituato a prendere solo il peggio dagli altri paesi, questo nuovo, politicamente scorrettissimo mockumentary di Sacha Baron Cohen dovrebbe essere osservato con una certa attenzione. Come si suol dire, tutto il mondo è paese.

8

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