Recensione Black Sea

Kevin Macdonald, che da sempre alterna nella sua carriera documentari a lungometraggi di finzione, ci porta nelle profondità del Mar Nero a bordo di un fatiscente sottomarino comandato da un grande Jude Law

Recensione Black Sea
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Chi è Robinson? Un professionista dei recuperi sottomarini. Un uomo di mondo. Un padre di famiglia che ha visto scivolare i suoi affetti più preziosi proprio per colpa del suo lavoro. Un “povero Cristo” in mezzo a una strada dopo essere stato licenziato per colpa della crisi. Un essere umano che si sente sfruttato e deriso dalla società, nonostante si sia spaccato la schiena per trent'anni a bordo di navi e sommergibili. Disilluso e disperato, accetta di guidare una spedizione privata, segreta e illegale alla ricerca di un sottomarino nazista che custodisce un favoloso carico d'oro. Finanziata da un losco imprenditore privato, la missione ha inizio con un equipaggio misto anglo-russo composto da lupi di mare esperti quanto disperati e ai margini della società: sta a Robinson il compito di guidarli nell'impresa, tutt'altro che semplice, data anche la scarsità di mezzi e la necessità di compiere il tutto all'oscuro delle autorità. L'equipaggio freme, borbotta, è visibilmente teso sia per le difficoltà che gli si prospettano davanti che per il miraggio della ricchissima ricompensa che spetterà loro se trionferanno: ma il Mar Nero (il “Black Sea” del titolo) non sarà solo sopra e attorno alle loro teste... sarà anche e soprattutto nei loro animi.

Come pinguini sulla terraferma

I sottomarini sono sempre stati un'ottima ambientazione per tesissimi thriller a sfondo politico-sociale e, da questo punto di vista, Black Sea non smentisce certo la tradizione, anzi: Kevin Macdonald è sempre bravo nel creare atmosfere tensive e, al contempo, trasmettere qualche inquietudine sociale in sottotraccia. Il regista scozzese, che da sempre alterna racconti di finzione a interessanti documentari (il suo Un giorno a settembre, ricordiamolo, ha vinto l'Oscar nel 2000) dirige ora un intenso Jude Law in questo thriller sottomarino ad alta tensione che nasconde qualcosa in più del semplice brivido della suspense. Il film è, difatti, ricco di metafore sociali e attualissime: i protagonisti della vicenda sono tutti degli “underdog”, dei “perdenti” della classe operaia come ne esistono a migliaia: vivono la loro vita all'ombra del “sistema”, vivono per esso e ne escono malconci, sopravvivono meramente nonostante tutti i loro sforzi, mentre ai “piani alti” c'è chi decide cos'è meglio per ognuno di loro. Sono tutti alla ricerca di riscatto, se non di “vendetta” verso i loro capi e le istituzioni; diventano, in qualche modo, 'pirati' alla ricerca di un antidiluviano tesoro. E, nonostante la barriera linguistica e culturale che li divide, finiscono accomunati nella lotta alla sopravvivenza.

Niente da perdere, tutto da perdere

C'è un grande range di personaggi in ballo ma, chiaramente, il più importante (e catalizzatore dell'attenzione degli spettatori, dato anche il fatto che è l'unico nome noto al grande pubblico) è il Robinson di Law, che lavora in intensa sottrazione mostrando tutti i lati della sua indole, la sua determinata opposizione alle ingiustizie della vita, come anche la sua debolezza se messo davanti ai suoi sogni infranti, per i quali cerca disperatamente una qualche colla attaccatutto. Nelle frasi e nelle situazioni all'apparenza insignificanti (la metafora del sottomarino russo che non li vede, quella dei pinguini) ritroviamo l'essenza del film: ed è un pregio da non sottovalutare.
Merito dell'asciutta regia di Macdonald, qui più bravo e coeso che in The Eagle o State of Play (sebbene il film duri comunque le sue due ore: ma sono due ore dense e a prova di noia) ma anche della sceneggiatura ad opera di Dennis Kelly, per la prima volta alla prova col lungometraggio ma con alle spalle una lunga esperienza a teatro. Ed è interessante anche il mix di registri cinematografici in atto: ci sono echi hitchcockiani ma si guarda prevalentemente a film di guerra e a pellicole come Quella sporca dozzina, ma anche a un certo western crepuscolare, con punte di horror claustrofobico (e non potrebbe essere altrimenti).

Black Sea Ben scritto, ben diretto e ben interpretato (in sottrazione) da un folto cast tra cui spicca immancabilmente un grande Jude Law, Black Sea mantiene alta la tensione per tutta la durata dei suoi 114 minuti, barcamenandosi senza soluzione di continuità tra diversi generi dando metaforica voce all'atavica questione della rivendicazione della classe proletaria. Interessanti, a questo proposito, le metafore inserite nel contesto del film... peccato solo per un andamento della vicenda piuttosto telefonato e le leggerezze “tecniche” riguardo a quel che accade a bordo del sottomarino: ma trattandosi di un racconto di finzione e non di un documentario ci si può sicuramente passar sopra.

7.5

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