Recensione Biutiful

In Biutiful di Inarritu, Javier Bardem è Uxbal: uomo dannato alla ricerca della redenzione.

Recensione Biutiful
Articolo a cura di

Giunto al suo quarto lungometraggio, il 47enne regista messicano Alejandro Gonzalez Inarritu abbandona il fidato sceneggiatore Arriaga e le consuete strutture ellittiche, a decomposizione cronologica, inconfondibile cifra stilistica dei suoi film precedenti (Amores Perros, 21 grammi il peso dell'anima e Babel), per affidarsi allo schema inconsuetamente lineare della parabola (unica) di un uomo in caduta libera: Uxbal (Javier Bardem). Il ritratto paralizzante di un uomo a un tempo in lotta con la vita e con la morte, forse redento grazie all'amore per (e dei) suoi figli.

Una lunga strada...

Uxbal è un uomo dai mille volti (padre devoto, sfruttatore incosciente, e perfino ponte spirituale con le anime dei morti) tutti trasfigurati dall'onnipresente ombra della morte che sembra connaturata alla sua vita. Per crescere i suoi due figli (Mateo e Ana) avuti da una compagna (Marambra) che a causa dei suoi disturbi mentali non è in grado di accudirli, si arrabatta in una Barcellona sfigurata nel volto e nell'anima, nella sua attività di protezione/sfruttamento di lavoratori cinesi e venditori ambulanti senegalesi, arrotondando come traghettatore di anime nell'aldilà (pare che sia in grado di comunicare con i morti e dunque la gente lo paga per conoscere i pensieri dei loro cari, giunti alle soglie del mondo dell'aldilà). Ma quel mondo ultraterreno che lui sembra conoscere così bene, pare reclamarlo a sé con un vigore sempre maggiore: scoprirà infatti Uxbal, di avere solo pochi mesi di vita, e scatterà in lui un senso di compimento umano che si rispecchia in una responsabilità paterna da esercitare a ogni costo, in un'eredità spirituale e materiale da lasciare alla propria prole, così da non permettere che la sua figura sfumi negli anni come è stato a suo tempo per lui e i suoi genitori. Una corsa contro il tempo che non ha ancora esaurito il focolaio del suo dramma, e che costringerà Uxbal a confrontarsi duramente con la propria coscienza di uomo, di padre, di compagno, attraverso le foschie di un'esistenza invasa da malattie, criminalità, indigenza, e che di beautiful ha ben poco (e infatti è biutiful: storpiata, menomata). In una Barcellona sordida e intensamente crepuscolare, dove l'estasi barocca della Sagrada Familia non è che uno scenario che si svela in lontananza, l'eroe tragico Uxbal affronterà un viaggio esistenziale capace di condurlo alla redenzione spirituale passando per la dannazione umana. Un viaggio che si profila come una lunga strada infestata dal dolore...

La lineare trama del dolore

Attorno a una trama che alle montagne russe narrative dei suoi precedenti film preferisce una struttura lineare con raccordo circolare (la scena simbolica della consegna dell'anello), Inarritu costruisce il dramma ante-litteram di una realtà che turba sin dalle prime inquadrature per la sua insaziabile cupezza (fotografia fredda e crepuscolare a opera del fidato Rodrigo Prieto e ottimo arrangiamento musicale a cura del premio Oscar Gustavo Santaolalla) con l'unica speranza di una luce spirituale che, forse, può accompagnare un destino tragico attraverso le ombre del proprio viaggio. Se negli altri film di Inarritu ritmo e pathos erano acuiti da quell'incastro di destini manovrati da un deus ex machina in grado di concedere vita o morte a proprio piacimento, qui tutto si anima attorno alla figura di uomo estremamente complesso e profondo, abitato dai buoni sentimenti ma inesorabilmente contaminato da una vita che sembra non lasciargli spiragli di luce: (in)consapevole responsabile dello sfruttamento degli immigrati, così come della loro incarcerazione e morte, delle angosce dei propri figli, e divorato giorno dopo giorno dal cancro, per Uxbal sembra sin da subito non esserci alcuna via di scampo. Javier Bardem (già palma d'oro a Cannes, ex aequo con il nostro Elio Germano, per la migliore interpretazione maschile) porta la sua croce sulle spalle per 138minuti di film senza mai perdersi nel vittimismo, nel pietismo più grossolano (impresa ardua visto il magma di pathos in cui Inarritu lo immerge) mantenendo sempre un (in)credibile livello di umiltà e integrità umane. A fargli da spalla intervengono l'ottima prova di Maricel Alvarez (attrice di teatro qui alla sua prima prova cinematografica) nei panni della fragile Marambra, e quella dei due bambini nei panni dei figli di Uxbal, piccoli e inermi testimoni della deriva famigliare.

Tra Luce e Tenebre

Tutto in questo film è giocato sulla linea spesso invisibile che separa la vita dalla morte, la luce dalle tenebre. Una linea qui resa più palpabile attraverso la dimensione spirituale di Uxbal di tramite coi morti, lo spazio onirico in cui re-incontra il nonno condividendo l'aneddoto della civetta, e in virtù del fatto che tutto nella sua vita riconduce in un modo o nell'altro alla morte: la tragedia degli immigrati cinesi e la tragedia personale della malattia che giorno dopo giorno lo allontana di un'altra spanna dalla vita. Lui, uomo che racchiude in un unico corpo debolezze e virtù dell'animo umano (corruttibilità e amore, egoismo e altruismo) sceglierà di non "aggrapparsi alla vita come fa la gente sciocca", abbandonandosi invece a quel viaggio verso la fine o l'inizio di una vita con inesorabile indulgenza. Nella verace interpretazione di Bardem (nessuno meglio di lui avrebbe saputo rendere giustizia a questo personaggio benedetto e dannato, e la sua interpretazione vale da sola il film) è racchiuso tutto il mondo dell'iperrealismo narrativo di Inarritu, attraversato da un senso poetico di una Natura incontenibilmente drammatica (stormi di uccelli, falene e civette del malaugurio) che qui coniuga la cruenta umanità di Amore Perros, il senso di fatalità di 21 grammi e il subdolo senso di inadeguatezza umana di Babel, a una regia che cinge lo spettatore in maniera quasi asfissiante (con campi stretti e camera fissa), ricattandolo col crescendo di un anelito drammatico che non concede tregua, allo stesso modo in cui il crudele fato bracca il suo eroe tragico fino all'ultimo respiro (illuminante). Che piaccia o no, è un vagito di dolore di fronte al quale è difficile restare impassibili.

Biutiful Apparentemente chiusa la trilogia sulla morte durata tre film (Amore Perros, 21 grammi il peso dell’anima e Babel), e accantonato lo stile inconfondibile di linee a storie multiple e piani temporali incrociati (frutto del sodalizio - qui sospeso - artistico con lo sceneggiatore Arriaga), Inarritu si concentra sulla storia di Uxbal (magistralmente interpretato da Javier Bardem), eroe tragico in una Barcellona sfigurata. Nell’assolo di dolore che Inarritu porta sullo schermo convivono due anime: il senso di ricatto che gioca sul dramma senza fine, e quello di amore per un padre tanto imperfetto e devoto da rappresentare il concentrato di un’umanità profondamente buia e incredibilmente luminosa. Lo sguardo a tratti borioso e auto-compiaciuto di Inarritu è dunque filtrato da quello umile e indulgente di Bardem: lui (a differenza del film) è impossibile non amarlo.

7.5

Che voto dai a: Biutiful

Media Voto Utenti
Voti: 17
7.2
nd

Altri contenuti per Biutiful