Recensione Birdwatchers - La terra degli uomini rossi

Bechis ci guida in un'affascinante odissea india

Recensione Birdwatchers - La terra degli uomini rossi
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La nostra terra

Nàdio e la sua tribù vivono di stenti in una riserva per indigeni. Fra giornate passate a lavorare come schiavi per i fazienderos e altre in preda ai fumi dell'alcool, decidono, dopo il suicidio di tre ragazzine, di fuggire da quel luogo maledetto e tornare nella terra dei propri antenati. Il luogo dove un tempo sorgevano le foreste sacre però è stato occupato da degli agricoltori bianchi che non vogliono saperne di avere a che fare con degli indios. Nàdio scegliue così di accamparsi ai margini della strada, sperando di riuscire ad attrarre intorno a lui un gruppo abbastanza folto di persone per poter guidare una rivolta contro l'uomo bianco. Il proprietario dei campi (Chedid) decide così di mandare uno dei suoi collaboratori (Santamaria) a far la guardia. Contemporaneamente però la sua giovane figlia (Pereira da Silva) si invaghisce di uno degli indigeni e comincerà a frequentarlo di nascosto.

Birdwatchers od osservatori?

Bechis è da sempre un cineasta impegnato, che ama affrontare tematiche non alla portata di tutti, e, dopo due film dedicati ai desaparecidos (Desaparecidos...che fine hanno fatto? e Garage Olympo), torna alla regia con questo bellissimo La terra degli uomini rossi, girato completamente in Brasile utilizzando attori non professionisti. Abbandonando fin dalle primissime scene ogni reminiscenza romantica del mito del buon selvaggio, il regista ci cala nell'america latina di oggi, mostrandoci gli indios da un punto di vista completamente inedito. Se in Fitzcarraldo o Mission le comparse indigene servivano solo a dar consistenza alle avventure di Kinski e de Niro, in Birdwatchers sono gli attori professionisti a fare da contorno agli indios e Bechis, si concentra su di loro, limitandosi ad abbozzare tutte le figure esterne alla tribù. Ma il suo sguardo è comunque spietato e non fa mistero delle contraddizioni e delle miserie insite nella cultura indigena, come il rifiuto arrogante del lavoro, o la dipendenza dall'alcool; non vengono fatti sconti a nessuna delle due parti in causa e il film, abilmente, evita di prendere una posizione netta sulla questione, pur non nascondendo una certa simpatia per la causa india.La macchina da presa, quasi sempre a mano e vicina ai volti degli interpreti, si muove con estrema eleganza ed evita i classici panorami da cartolina, trasportandoci in un Brasile quasi desertificato dalla deforestazione, dove il rapporto fra uomo e natura è indissolubilmente rotto, nonostante l'accorato appello che il Fazendero rivolge a Nàdio per convincerlo ad andarsene via. Nàdio per tutta risposta rifiuta testardamente il cibo dell'uomo bianco ed insiste per andare a caccia, in una foresta amazzonica ormai ridotta all'ombra di se stessa, dove i pochi animali selvaggi sono stati sostituiti dalle mucche. Il quadro d'insieme è onirico e terribilmente mondano al tempo stesso, la vita degli indios e degli altri protagonisti sembra essere sempre sospesa, incapace di una qualsiasi progettualità, intrappolata in un presente troppo duro da sopportare. Neppure l'ingenua storia d'amore fra i due ragazzi andrà a buon fine, un po' per la superficialità di lei che non capirà mai a fondo la complessità della situazione sociale in cui vive, un po' per l'incapacità del giovane indio di emanciparsi dai rituali della tribù. Bechis insomma pare essere assolutamente pessimista, neppure nei giovani è più disposto a riporre qualche speranza. Nulla è bello nel Brasile degli uomini rossi, neppure la sfarzosa villa del fazendero rifugge dalla sensazione di decadenza che traspare da ogni singola inquadratura.Un po' affresco sociale ed un po' dramma interiore, dunque, La terra degli uomini rossi segna un'altra tappa fondamentale nella già particolarissima carriera di Marco Bechis, il film riesce a non scadere mai nel folklore pur mantenendo una coerenza narrativa molto difficile da ottenere quando la maggior parte dei protagonisti non sono attori consumati. Certo, Birdwatchers non è semplice e Bechis fa di tutto per non offrire allo spettatore nessuna chiave di lettura "facile" costringendolo ad un complesso lavoro intellettuale forse non alla portata di tutti. A questo punto però sta al pubblico fare la sua scelta, sarà un Birdwatcher che si accontenta delle foto patinate per turisti o sceglierà di addentrarsi assieme al regista ed ai suoi attori nell'abisso oscuro dell'emarginazione?

La lezione di Olmi

La scelta estrema di affidarsi a non professionisti per tutti i ruoli indios ha funzionato alla perfezione. I volti fieri ma mai arroganti dei Guaranì sono più veri di quelli di qualsiasi documentario e, pur nelle ovvie schematizzazioni cinematografiche, ci raccontano storie ed emozioni indimenticabili. Molto buone anche le prove di Santamaria (notissimo volto televisivo di Rino Gaetano) nei panni del povero lavorante costretto ad umiliare e cacciare gli indios e della Caselli che spesso condividono la scena con gli attori nativi senza mai rubargliela.

Birdwatchers - La terra degli uomini rossi La terra degli uomini rossi è un grande film di denuncia sociale, girato quasi senza mezzi e con una dedizione ai limiti della follia. Purtroppo sappiamo già che la distribuzione non sarà all’altezza e lo confinerà ben presto negli angusti spazi dei cinema d’essai, speriamo solo che un’eventuale premio Lagunare riesca a riscattarlo, anche solo per rispetto agli indios ed al messaggio che ci hanno voluto portare lavorando a questa pellicola.

8.5

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