Recensione Bar Sport

Il surreale bar di Bisio e Benni

Recensione Bar Sport
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Considerato un classico della narrativa umoristica italiana, Bar Sport - pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 1976 - fu il primo libro del giornalista, scrittore e poeta bolognese classe 1947 Stefano Benni, collaboratore del giornale francese Liberation, nonché regista e sceneggiatore, nel 1989, del lungometraggio Musica per vecchi animali.
Ma non è lui a curare la trasposizione cinematografica del suo romanzo comico, la quale, bisogna precisarlo, non ha assolutamente nulla a che vedere con quel Al bar dello sport che, nel lontano 1983, venne interpretato da Lino Banfi e Jerry Calà sotto la regia di Francesco Massaro.
Infatti, è il Massimo Martelli prevalentemente legato al piccolo schermo (Love bugs 3 e Medici miei nel curriculum) a raccontare su celluloide le vicende che si concentrano nel locale di ritrovo del titolo, gestito dall'avaro barista Antonio detto Onassis, cui concede anima e corpo Giuseppe"Non pensarci"Battiston, e frequentato da una variegata e bizzarra fauna di personaggi.
Variegata e bizzarra fauna di personaggi che, tra un innamorato depresso ormai fuso al telefono a gettoni, giocatori di calcio balilla e altri di biliardo pronti all'eterna sfida con il bar Moka, include il tuttologo Tennico con il volto di Claudio Bisio, Elvira "lire tremila" e il timido marito geometra Buzzi, rispettivamente con quello della Roberta Lena di Nuovo Cinema Paradiso e del comico Vito, e due vecchiette dall'aspetto innocuo ma dall'animo perfido interpretate da Angela Finocchiaro e Lunetta Savino.

Benni & Jeunet

Ma abbiamo anche Teo Teocoli nei panni di un playboy abituato a raccontare le proprie improbabili avventure e il Bob Messini dell'avatiano Gli amici del Bar Margherita in quelli del semplice e ingenuo Cocosecco all'interno dei circa 93 minuti di visione che aprono nella preistoria, mostrando il primo tentativo di bar, per poi spostarsi nella seconda metà degli anni Settanta, accompagnati dalle note di The passenger di Iggy Pop.
Soltanto uno dei diversi hit che, insieme a Piccola Katy dei Pooh e Never can say goodbye di Gloria Gaynor, finiscono per fare da colonna sonora ad un elaborato che sembra, non a caso, una fusione tra il citato lungometraggio di Avati e una certa impronta surreale a suon di cartoon che può richiamare alla memoria sia il cinema di Jean-Pierre Jeunet che quello di Maurizio Nichetti.
Del resto, se un certo look fumettistico può essere ricordato dalle succitate vecchiette, le quali lasciano quasi pensare ai due analoghi maschili del Muppet show, non sono momenti d'animazione - diretti da Giuseppe Laganà - ad essere assenti, man mano che entra in scena la bella cassiera Clara alias Aura Rolenzetti e lì nella bacheca, dal lontano 1959, giace la Luisona, ovvero la decana delle paste.
Però, sebbene il tutto possa presentare le fattezze di un coraggioso ed interessante esperimento di celluloide sicuramente atipico per lo stantìo panorama cinematografico tricolore d'inizio XXI secolo, il risultato finale fa più sorridere che ridere ed appare piuttosto caotico. Spingendoci in particolar modo a chiederci quale possa essere la fetta di pubblico di riferimento... considerando che, con ogni probabilità, non è quella rappresentata dai fan di Bisio.

Bar Sport Trasferire su schermo il classico della narrativa umoristica tricolore Bar Sport, scritto nel 1976 da Stefano Benni, non era certo impresa semplice, soprattutto se consideriamo che il panorama della commedia tricolore d’inizio XXI secolo sembra essere molto poco interessato a rappresentazioni caratterizzate da elementi fantastici. Il regista Massimo Martelli, invece, supportato anche da una parte animata curata da Giuseppe Laganà, sforna coraggiosamente un prodotto dai toni surreali che finisce di sicuro per incarnare le fattezze di un atipico esperimento da grande schermo nel paese in cui il cosiddetto “cinema di genere” sembra ormai morto e sepolto da decenni. Peccato che, con ogni probabilità, sono i volti di personaggi come Claudio Bisio e Antonio Catania a non risultare azzeccati per un’operazione di questo tipo; la quale, manifestando un certo sforzo finanziario, ci spinge ancora una volta a chiederci per quale motivo i produttori nostrani continuino a non tentare di mettere in piedi prodotti elaborati come questo, ma che non rientrino necessariamente nell’abusatissimo filone della commedia.

5.5

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