Recensione At the end of the day - Un giorno senza fine

La violenta guerra simulata di Cosimo Alemà

Recensione At the end of the day - Un giorno senza fine
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Cosa hanno in comune Tiziano Ferro, Ligabue, Mina, Tiromancino, Zero Assoluto, Alex Britti, Subsonica, Nek, Gianluca Grignani, Articolo 31, Max Pezzali, Gianna Nannini, Giusy Ferreri, Finley, Renato Zero, Syria e Marina Rei, oltre ad essere nomi noti della musica leggera italiana del periodo a cavallo tra il XX e il XXI secolo?
Semplice, sono soltanto alcuni dei protagonisti dei circa duecento videoclip firmati dal romano classe 1970 Cosimo Alemà, il quale, dopo aver esordito per il grande schermo dirigendo, nel 1996, Quiete, segmento incluso nel collettivo Intolerance, tra i cui registi vi erano Gabriele Muccino, Paolo Virzì e Cinzia Th. Torrini, vi torna ora con il suo primo lungometraggio, nato con il titolo Delirium cordia ed immerso nella natura selvaggia.
Dunque, un po' come in Shadow-L'ombra, diretto nel 2009 da Federico Zampaglione, con la fondamentale differenza dovuta al fatto che tutto, questa volta, prende il via da una partita estiva di soft-air organizzata dalle sorelle Lara (Stephanie Chapman-Baker) e Monica (Valene Kane) insieme agli amici Alex (Sam Cohan), Riko (Neil Linpow), Chino (Andrew Harwood Mills) Diana (Monika Mirga) e Thomas (Tom Stanley).

La pericolosa partita

D'altra parte, è lo stesso Marco Bassano del film di Zampaglione a curare la bella fotografia dell'esordio di Alemà, che sembra condividere con la pellicola anche un certo sottotesto anti-bellico.
Perché, come c'era da aspettarsi, la partita, inconsapevolmente messa in atto dove, in passato, sorgeva una base militare usata per le operazioni segrete, è destinata a trasformarsi in un incubo dal momento in cui qualcuno dà il via ad una vera e propria caccia all'uomo.
Quindi, il soggetto non può fare a meno di ricordare sia Severance-Tagli al personale, realizzato nel 2006 dall'inglese Christopher Smith, che il poco conosciuto Soft air, firmato nel 1997 da Claudio Masin e comprendente nel cast la brassiana Cinzia Roccaforte.
Però, pur vedendo tra i produttori il Franco Gaudenzi che finanziò titoli noti della cinematografia stracult nostrana come il decamerotico Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti di Joe D'Amato e Terminator 2 di Bruno Mattei, falso sequel del fanta-capolavoro di James Cameron, At the end of the day-Un giorno senza fine, a quanto pare ispirato a fatti realmente accaduti il 5 giugno del 1992, non sembra guardare al taglio tipico del prodotto di genere italiano, bensì a quello dei lungometraggi provenienti dall'estero, con la Francia in prima fila.
Infatti, man mano che la tensione sale, volta a turbare quella che sembrava essere una semplice storia di amicizia ed inaspettati intrecci amorosi, è facile intuire l'influenza - sia per quanto riguarda la messa in scena della violenza che il look generale dell'operazione - dal primo Alexandre Aja o dallo Xavier Gens di Frontiers-Ai confini dell'inferno; tanto più che Alemà considera quest'ultimo uno dei migliori horror del XXI secolo, insieme a Martyrs di Pascal Laugier.
E, mentre non rimane neppure troppo celata una certa metafora relativa alla bestialità spesso istintiva dell'essere umano, provvedono l'eccellente uso della camera di ripresa ed un sonoro decisamente curato a rendere l'insieme - oltretutto impreziosito dai riusciti effetti speciali di trucco ad opera di David"Eaters"Bracci - un serrato, coinvolgente e mai gratuito thriller su celluloide che non ha assolutamente nulla da invidiare ai lavori dei citati colleghi d'oltralpe.
Insieme ai quali, quindi, è chiaro che noi italiani potremmo tranquillamente tornare ad essere i migliori nell'ambito del cinema di suspense e brutalità; come avveniva molti anni fa, quando i nostri produttori non si accontentavano di riempirsi le tasche esclusivamente tramite rassicuranti medici in famiglia da piccolo schermo e "Gomorre" osannate in maniera inspiegabile.

At the end of the day - Un giorno senza fine Prolifico regista di videoclip, il romano Cosimo Alemà esordisce nella regia del lungometraggio con un thriller d’ambientazione boschiva che, se nell’idea ricorda Soft air (1997) di Claudio Masin, nella resa finale non sembra poi molto distante dai film di genere francesi d’inizio XXI secolo. E, complici un’ottima fotografia e curati effetti speciali di trucco, il risultato sono 93 coinvolgenti minuti di visione girati con notevole capacità tecnica e caratterizzati da un taglio decisamente internazionale. Tanto da poter competere tranquillamente con i prodotti di genere provenienti dagli altri paesi del mondo, i quali, chissà per quale oscuro motivo, ci sembrano sempre superiori e cinematograficamente ineguagliabili. Anche se non è così.

7

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