Assassin's Creed: la recensione del film con Michael Fassbender

Michael Fassbender e Marion Cotillard saltano nel vuoto presi per mano da Justin Kurzel, ma il film non sfrutta appieno la mitologia del videogioco.

Assassin's Creed: la recensione del film con Michael Fassbender
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Spagna, ultimi anni del 1400; America, ultimi anni del 1900; e poi i giorni nostri. Un uomo, che giura fede ad un credo in una grotta. Un bambino, che salta con la bici e fallisce, scappa sui tetti e riesce. E ad oggi un altro uomo chiuso in una cella, pronto a contare i suoi ultimi minuti prima di una condanna a morte. Justin Kurzel salta da un tempo all'altro così come i suoi protagonisti saltano sui tetti, scivolando tra le pieghe della sua storia riuscendo ad inserire sempre un filo conduttore, un occhio dell'aquila che si sposta unendo tre momenti di un unico destino lungo molto più di 500 anni. Di sangue in sangue, ogni morte genera una nuova linea di vita, che ognuno di noi trattiene nelle sue cellule: è quella a renderci ciò che siamo - sembra indicare Assassin's Creed - forse più del contesto in cui viviamo e dell'educazione che ci viene impartita. Callum Lynch (Michael Fassbender) non è quindi un violento solo per scelta, ma un violento per destino - quello che il suo sangue e la storia della sua discendenza gli hanno impartito fin dalla nascita, un destino al quale non si può in alcun modo sfuggire.


Agiamo nell'ombra, per servire la Luce

Il presente di Callum Lynch è fatto di una prigione senza sbarre, quella della Abstergo, dove l'esperimento di Sophia (Marion Cotillard) lo costringe dentro l'Animus con la mente e con il corpo. Niente lettini come nei videogames, nel film di Assassin's Creed si fa sul serio: un braccio meccanico e un'intera stanza a disposizione dell'uomo di oggi e di quello di ieri, che Justin Kurzel disegna giocando di cromatismi opposti e di consistenze diverse. Passato e presente si uniscono in ombre e colori, si mescolano fino a diventare un tutt'uno che cinematograficamente rappresenta il grande punto di forza del film. Callum incontra Aguilar tra polvere e ombra, si muove con lui e sperimenta il suo stesso esistere sul proprio corpo, giustificando un apprendimento che coinvolge ogni muscolo fin dal primo incontro. Le sedute dell'Animus e la ricerca della Mela dell'Eden diventano così un esperimento che riesce a mettere lo spettatore in prima linea: anche se questa volta non abbiamo in mano un Joystick ci muoviamo insieme a Cal, grazie anche ad un Michael Fassbender che riesce a trascinarci nella lucida follia del suo personaggio con una puntualità sorprendente.

Un salto della fede complicato

Gli assassini sono chiusi in un ambiente freddo, asettico: ogni loro movimento è controllato e innaturale, mentre nella Spagna di Cristoforo Colombo esplodono i colori caldi, la libertà di movimento, i contrasti tra l'ombra e la luce. Contrariamente al videogame però è nel presente che si svolge la vera azione, è ai giorni nostri che si prendono le decisioni: il passato è solo un'ombra fumosa fatta di salti e di combattimenti che sfilacciano la narrazione senza mai riuscire davvero a far innamorare lo spettatore di quello che vede. I dialoghi sono ridotti all'osso per fare spazio a spettacolari scene d'azione che, oltre a ricordarci le meraviglie del videogioco, non riescono a fare molto altro. Appare evidente soprattutto in questo distacco come ancora una volta non si sia riusciti a trovare un giusto compromesso tra due medium che avrebbero molto da dirsi, se solo riuscissero ad avere un degno primo appuntamento. Assassin's Creed aveva tutte le carte in regola per diventare il primo vero colossal tratto da un videogioco e, perché no, magari riuscire ad aprire le porte ad un franchise solido e duraturo come è accaduto con i fumetti: purtroppo ci riesce a metà, gettando delle basi che hanno comunque una solida attrattiva ma solo grazie ad una mitologia di partenza già di per sè molto cinematografica, come quella della saga videoludica Ubisoft, che sfrutta un concetto molto adatto al grande schermo. C'è una buona base quindi, complice anche un finale chiaramente aperto a nuove possibilità (e nuove pellicole) ma non la capacità di far innamorare lo spettatore fin dal primo minuto. A mancare sono soprattutto personaggi di spessore che al contrario si trovano con addosso dialoghi che rimangono in superficie, motivazioni fumose, fedi che lasciano una sete di conoscenza che purtroppo non viene in alcun modo soddisfatta. Nemmeno la regia di Kurzel, che tanto aveva fatto sognare in Macbeth, riesce a donare al film un'impronta davvero personale, una caratterizzazione che esce dai classici canoni di un film da studio. Assassin's Creed è un buon balzo in avanti rispetto alla tradizione di genere, ma per il momento non c'è stato ancora un vero e proprio atterraggio: rimaniamo ad occhi aperti in attesa del vero salto della fede.

Assassin's Creed Assassin's Creed si fregia di ottime intuizioni che illuminano il cammino futuro della saga e ha il grande pregio di essere un film per tutti, compreso chi non conosce il videogioco. Nonostante tutto però non riesce a convincere a pieno in un primo capitolo timido e impaurito: Michael Fassbender convince come Aguilar/Callum e porta a casa una doppia interpretazione interessante, ma i suoi comprimari (primi fra tutti Marion Cotillard e Jeremy Irons) hanno davvero poco su cui lavorare, lasciando lo spettatore in balia di una superficie che non si riesce mai a rompere del tutto. Ne resta un ottimo tentativo di congiunzione di due medium il cui amore è sempre stato sfortunato, ma non la vera rivoluzione che stavamo aspettando.

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