Apocalypto, la recensione del film diretto da Mel Gibson

I maya secondo Mel Gibson, regista del nuovo film Apocalypto. La nostra recensione.

Apocalypto, la recensione del film diretto da Mel Gibson
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Mel Gibson: quando il vino diventa aceto

Nel grande mondo patinato di Hollywood, Mel Gibson è sempre stata una delle star più amate e più conosciute dal pubblico. Come attore, si è dimostrato in grado di interpretare i ruoli più diversi, che spaziano da quello dello sbirro pazzo (Arma Letale), a quello del timido insegnante ( L’uomo senza Volto) per arrivare quello del celeberrimo condottiero scozzese (BraveHeart), ribadendo così la sua volontà di non lasciarsi etichettare solo e unicamente come uomo d’azione.
Da circa dieci anni, Gibson ha intrapreso anche la carriera di regista, dirigendo diversi film tra i quali si possono sicuramente annoverare tra i suoi grandi capolavori una pellicola del calibro di Braveheart, insieme a film non eccelsi ma tutto sommato godibili.
Il suo film più famoso (e discusso) rimane comunque La Passione di Cristo, che descrive le ultime ore della vita di Gesù in un’ottica sicuramente nuova, quantunque spesso definita discutibile, se non addirittura di cattivo gusto.
Non è forse un caso che, dopo questa esperienza, la stella di Gibson sembri essersi offuscata, complici i ripensamenti dell’opinione pubblica che, da uomo ideale quale era considerato, tutt’al più ora lo dispensa di definizioni quali esaltato, conservatore cattolico, nonché ubriacone (visti anche i suoi recenti problemi con l’abuso di alcool).
L’ultima fatica del Gibson regista risponde all’altisonante nome di Apocalypto. Innanzitutto, prima di avvicinarsi al film, è necessario fare chiarezza su quella che è la natura di fondo della pellicola: non è un film storico, tanti infatti sono gli errori disseminati ovunque, errori di fondo e grossolani, come si cercherà di evidenziare più avanti; non è un film epico-drammatico, come il mendace trailer lo presenta; è un semplice adventure-slash movie, come cercheremo di chiarire a breve. Ancora una volta, come un fuochista che alimenta il motore di un treno fatto di polemiche, il nostro amato Mel Gibson ci propone la sua visione della civiltà Maya.

I Maya

È giorno di caccia per il villaggio di Zampa di Giaguaro. Il giovane, insieme al padre ed al fratello, insegue a fatica un gigantesco tapiro, che però si ostina a sfuggire ai loro assalti. Fortunatamente, il tapiro incappa in una trappola, finendo infilzato da una serie di lance, che uccidendolo mettono fine alla battuta di caccia.
Tornato al villaggio, Zampa di Giaguaro si gode un meritato riposo in compagnia della sua gente. Per lui è un momento particolarmente felice: sua moglie è in procinto di partorire il suo secondo figlio, ed il suo primogenito è un bambino sano e forte che cresce vigoroso.
Tutto ciò, però, è destinato a finire nel momento in cui, alle prime luci dell’alba, un gruppo ben armato di soldati assalta il villaggio senza un motivo apparente. Zampa di Giaguaro si accorge per primo del pericolo, e immediatamente cerca di mettere in salvo sua moglie e suo figlio, calandoli all’interno di un’ampia gola, per poi gettarsi in una furiosa battaglia. Nonostante i suoi sforzi, però, l’intero villaggio è costretto a piegarsi di fronte all’evidente superiorità militare dei soldati che, dopo aver distrutto tutto, legano i sopravissuti per scortarli alla loro città, in cui verranno utilizzati come vittime sacrificali.
La buona sorte, comunque, sembra non aver abbandonato Zampa di Giaguaro, che, complice un’eclisse inaspettata, scampa miracolosamente al sacrifico.
Tuttavia questa gioia ha vita breve: il giovane si ritroverà ben presto nelle grinfie dei soldati, ai quali però riuscirà nuovamente a sfuggire. Inizia così per il nostro protagonista una rocambolesca fuga, in cui i suoi temibili aguzzini sembrano voler giocare al gatto e al topo...

Polemiche inutili per un film che non merita

Prima di addentrarci in quello che è il vero e proprio contenuto della pellicola, si può facilmente liquidare il commento relativo alla realizzazione stilistica in due parole: il film è realizzato in modo tecnicamente ineccepibile; ogni inquadratura, ogni ripresa, ogni campo, ogni effetto speciale è confezionato con cura maniacale. Non è inoltre da sottovalutare la scelta stilistica della “lingua”, a cui comunque il regista ci aveva già abituato in The Passion: il linguaggio parlato è infatti (con tutte le riserve che questa frase può conservare, e considerate tutte le obiezioni che un linguista potrebbe muovere) quella della grande civiltà Maya, naturalmente sottotitolata in italiano.
Detto questo, il film si presenta infarcito di una valanga di cliché, tipici dei classici film d’azione americani, con qualche rimando anche alle pellicole a sfondo cannibalista tanto in voga negli anni ’70 e ’80.
Ci viene presentato, infatti, un popolo Maya altamente barbaro (composto da terribili guerrieri maschi e da schiave femmine), protagonista di scene d’azione che ricordano spaventosamente Rambo, Il Gioiello del Nilo ed Indiana Jones (la famosa scena del sacrificio umano altro non è che una rielaborazione del sacrifico a Shiva in Indiana Jones e il Tempio Maledetto).
I personaggi, in virtù delle loro doti fisiche eccezionali (basti pensare a Zampa di Giaguaro, la cui andatura è più veloce di quella di una pantera, o ai suoi inseguitori che lo tallonano per giorni interi senza fermarsi), risultano estremamente fasulli, rendendo la verosimiglianza della vicenda prossima allo zero e più vicina ad un film di supereroi che ad uno con pretese storiche
Il risultato finale dunque, è quello di un "film collage" che puzza di già visto e, malgrado l’alto contenuto d’azione, sempre fiacco che difficilmente riesce a coinvolgere.
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è l’assurda volontà di classificarlo come film pseudo storico, se non addirittura epico drammatico.
La classificazione come pellicola storica si rivela infatti immediatamente fuorviante, una volta considerato che Gibson sembra aver tenuto conto solamente le testimonianze dei conquistatores (senza peraltro esimersi dallo strumentalizzarle) e ha deciso di mischiare, per dubbie esigenze cinematografiche, i culti Atzechi con quelli Maya, in una confusione che ha dell’incredibile. Ancora per “questioni stilistiche” sono stati aggiunti i cani (simbolo di presagio per Gibson), che però all’epoca della vicenda narrata non avevano ancora fatto la loro comparsa tra i popoli precolombiani.
Anche l’assurda pretesa di considerare Apocalypto un film epico-drammatico risulta estremamente fuori luogo, in quanto il tutto viene altamente ridicolizzato dai "superpoteri" dei protagonisti, dalla caratterizzazione dei personaggi prossima allo zero, e dal largo uso di stereotipi tipici di Hollywood (uno su tutti, i bambini non vengono mai uccisi).
L’amara verità è che, sotto la veste di un film drammatico, si nasconde un innocuo film d’azione con una storia nient’affatto originale, condita da scene cruente a profusione. Quello che rimane allo spettatore a fine film è la forte sensazione di essere stato gabbato da un sapiente trailer, se non dalla pubblicità gratuita generata dalle polemiche di qualche esponente politico.
Menzione speciale per una delle scene di parto più esilaranti viste finora (ovviamente involontaria) e che non può che riportare alla mente il mitico Ace Ventura - Missione Africa.

Apocalypto Sebbene vanti una realizzazione tecnica ineccepibile, il film si presenta piuttosto fiacco ed infarcito di situazioni straviste e clichè. La discutibile pretesa di spacciare il film per storico rende il tutto ancora più ridicolo, e fa rimpiangere i tempi in cui Gibson riusciva a stupire il mondo con Braveheart. Da vedere aspettandosi esclusivamente un film d’azione, piuttosto che un film drammatico, almeno se si vogliono evitare cocenti delusioni riguardo alla natura del film. Date le numerose scene di violenza, il film non risulta adatto ad un pubblico facilmente impressionabile.

3.5

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