Recensione Apocalypse Now Redux

Il capolavoro di Francis Ford Coppola del '79 nella sua riedizione moderna e completa

Recensione Apocalypse Now Redux
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È la voce di Jim Morrison, moderno profeta la cui musica sembra provenire da una remota oltretomba, ad annunciare l’Apocalisse. Sulle note funeree di The End, epocale canzone dei Doors del 1967, inizia il “viaggio all’inferno” di Benjamin Willard, Capitano dell’esercito degli Stati Uniti, impersonato da Martin Sheen in uno dei film-simbolo del cinema americano della New Hollywood, ma non solo. Perché Apocalypse Now, monumentale sforzo produttivo da parte del regista Francis Ford Coppola, è un’opera che ha segnato un capitolo fondamentale nella storia della settima arte; un film imprescindibile la cui eredità continua a risuonare ancora oggi con la medesima, devastante potenza di 35 anni fa. Frutto di oltre tre anni di lavoro, fra riprese, post-produzione e montaggio, con un set nelle Filippine devastato da cataclismi naturali e un infarto che colpì Martin Sheen (chiamato a film già avviato per sostituire Harvey Keitel), Apocalypse Now fu presentato in una versione ancora provvisoria al Festival di Cannes 1979, aggiudicandosi la Palma d’Oro come miglior film.

LA SCOMMESSA DI COPPOLA

Distribuita nelle sale americane il 15 agosto di quello stesso anno, in un’edizione di 153 minuti, la pellicola di Coppola si sarebbe rivelata fin da subito un evento con ben pochi precedenti: uno di quei fenomeni culturali in grado di provocare reazioni contrastanti, dibattiti infuocati e complessi tentativi esegetici, mai del tutto risolutivi. Costato oltre trenta milioni di dollari (una cifra altissima per l’epoca), Apocalypse Now ne incassò quasi ottanta nei soli Stati Uniti e si guadagnò tre Golden Globe, mentre agli Oscar, su un totale di otto nomination, ottenne soltanto i premi - sacrosanti - per la stupenda fotografia di Vittorio Storaro e per il sonoro. Nel corso del decennio, Francis Ford Coppola si era già imposto fra i più importanti registi del panorama mondiale grazie ai primi due capitoli della leggendaria saga de Il Padrino (incassi record e un totale di nove Oscar) e a un thriller seminale ed estremamente innovativo quale La conversazione (Palma d’Oro a Cannes nel 1974). Apocalypse Now, tuttavia, rappresentò la scommessa più ambiziosa - e rischiosa - della sua carriera: un colossale e rivoluzionario film-fiume che rimane tutt’oggi un classico senza uguali, capace di riscrivere le regole stesse della narrazione cinematografica, attraverso un procedimento drammaturgico in cui il flusso di coscienza (basti osservare, a tal proposito, la stupefacente sequenza iniziale) si fonde e si confonde con la straordinaria esperienza sensoriale, psicologica ed emotiva vissuta dal protagonista in quello che, fin dal principio, si configura come un viaggio senza ritorno negli abissi del cuore umano.

IL CUORE DI TENEBRA

Heart of Darkness, d’altra parte, è il titolo del brevissimo romanzo (poco più di cento pagine) pubblicato nel 1902 dallo scrittore polacco Joseph Conrad (in italiano è conosciuto come Cuore di tenebra). Un’avventura, di ispirazione autobiografica, nelle minacciose profondità della giungla africana, che Coppola riprese in mano, mantenendone l’ossatura di base e adattandola alla drammatica contemporaneità di quel periodo: il conflitto in Vietnam, la ferita ancora aperta e sanguinante di un’America costretta a confrontarsi con il proprio lato oscuro (appena un anno prima un altro eccezionale capolavoro, Il cacciatore di Michael Cimino, aveva raccontato le atrocità della guerra e le sue conseguenze). Un conflitto che, in Apocalypse Now, trascende la mera dimensione storica per trasformarsi in una discesa metaforica in direzione di un orrore inesplorato: quell’orrore - «The horror! The horror!» - evocato in uno spasmo anaforico dal Colonnello Water Kurtz, ormai moribondo, interpretato con magistrale intensità da un Marlon Brando semi-irriconoscibile: un personaggio ammantato di cupa grandezza, che emerge dall’oscurità rivelandosi ai nostri occhi a poco a poco, e lasciando trapelare frammenti dell’umana fragilità insita nella sua spaventosa follia.

LA DOPPIA VITA DI UN CAPOLAVORO

La versione REDUX non è l’edizione originale di Apocalypse Now. Due decenni più tardi, infatti, Coppola è tornato in sala di montaggio, recuperando gran parte del materiale “scartato” nel 1979 e ripristinandolo all’interno del film, fino a dar vita a una pellicola più vasta, ma soprattutto con significativi elementi di novità rispetto alla versione cinematografica. Distribuito nelle sale nel 2002 e in seguito pubblicato in home-video, Apocalypse Now Redux è un film della durata complessiva di 202 minuti, con circa 50 minuti di scene inedite finalmente reintegrate dal regista italo-americano. Al fascino senza tempo di Apocalypse Now, con numerose scene entrate di diritto nell’immaginario collettivo (una su tutte, l’attacco degli elicotteri sulle note della Cavalcata delle Walkirie di Richard Wagner), si aggiunge dunque una dimensione ulteriore, che risiede essenzialmente in una lunga sezione narrativa tagliata del tutto nell’edizione precedente: la sosta di Willard e del suo equipaggio nella piantagione della famiglia francese de Marais, che include anche una dissertazione sul colonialismo francese in Indocina e le sue problematiche morali, ricollegate a quelle analoghe della guerra in Vietnam. Al termine della cena fra Willard e i de Marais, la giovane vedova Roxanne Sarrault (l’attrice Aurore Clément) si accosta al Capitano, rimasto solo, pronunciando una frase emblematica: «Ci sono due uomini in te: uno che uccide e uno che ama». Una dicotomia inscindibile nella quale, in fondo, risiede anche il senso del film stesso.

Apocalypse Now Ispirato al romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra, frutto di una travagliata lavorazione e premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes 1979, Apocalypse Now costituisce un capolavoro seminale ed imprescindibile della cinematografia mondiale: lo straordinario magnum opus attraverso il quale Francis Ford Coppola ha saputo mettere in scena gli orrori della guerra del Vietnam, ma al contempo anche gli abissi più profondi della follia umana.

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