Recensione Amore, Cucina e Curry

Una fiaba contemporanea che tenta di indicare l'ingrediente giusto per un'auspicabile integrazione culturale

Recensione Amore, Cucina e Curry
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Il giovane Hassan (Hassan Haji) ha appreso l'amore e la passione per la cucina da piccolo, cresciuto al fianco di una madre che viveva il mescolare di ingredienti e spezie come una vera e propria magia dei sensi. Ancora ragazzo, e morta la madre in un tragico incendio, Hassan si trasferisce in Europa con tutta la famiglia (padre e fratelli) transitando per Londra per poi approdare in un piccolo paesino della Francia, Lumiére. Lì, complici un segno del destino e la determinazione di un padre (l'esilarante Om Puri) deciso in un modo nell'altro a far valere le proprie tradizioni e il sogno della defunta moglie, l'intera famiglia si stabilirà per rilevare una dismessa attività di ristorazione, fallita perché situata proprio a pochi passi da un rinomato ristorante stellato Michelin. L'elegante e mondano locale di rimpetto è infatti gestito dalla volitiva signora Mallory (una irriconoscibile Helen Mirren), rimasta vedova tempo addietro e oramai completamente dedita alla sua attività di ristoratrice d'alta classe, pronta a tutto pur di condurre il suo regno a un'ulteriore stella. Così, separati solo da una strada che presto diverrà quasi una sorta di barriera culturale e ideologica, la convivenza tra l'esuberanza di vita e della cucina indiane si scontrerà con l'aplomb e la raffinatezza dell'alta cucina francese in una guerra sfrenata all'ultima ricetta. Ma il dono culinario e le potenzialità da grande chef del giovane Hassan intercederanno per superare quelle iniziali controversie e fare invece dei due mondi un territorio comune attraverso il quale lottare verso i valori di una cucina di mescolanze e (soprattutto) di un'integrazione scevra da ostilità e pregiudizi. Allo scontro tra culture si affiancherà poi una certa dose di romanticismo che vedrà - col tempo - nascere più di una complicità trasversale tra quei due mondi a prima vista così distanti e inconciliabili.

Rievocando Chocolat (ma non del tutto)

Il regista svedese Lasse Hallström (Buon compleanno Mr Grape, Le regole della casa del sidro, Chocolat) torna a coniugare cibo, scontri socio-culturali e amore (proprio come accadeva nel già citato Chocolat) in una commedia che fa del rito dell'omelette e del dogma delle spezie il cavallo di battaglia ideale per portare avanti una parabola di incontro/scontro tra culture dal risvolto rosa e buonista. L'esuberanza indiana incontra il rigore francese e il risultato potrebbe essere la ricetta perfetta. Ma se da un lato il film - direttamente ispirato al romanzo di Richard C. Morais The Hundred-foot Journey - raccoglie con carisma, affetto e una certa semplicità quella richiesta sempre più impellente di un incontro (e non più scontro) tra mondi, è il tono eccessivamente fiabesco dell'opera a creare delle rotture assai nette all'interno dell'arco narrativo. L'ostilità dichiarata e la xenofobia latente (soprattutto da parte dei francesi verso i loro ‘colleghi' indiani) farà infatti presto spazio a una tolleranza e solidarietà inaspettate, elementi che fanno assai fatica ad allinearsi alla riflessione contemporanea dello scottante argomento dell'integrazione razziale e culturale. Dunque se da un lato Hallström imprime al suo film una vena di romanticismo e ottimismo spassionati (e lo fa consapevolmente come ci ha anche spiegato nella chiacchierata che potete trovare qui) perché il film smuova positività, è quella stessa ricerca sottesa del lieto fine che diviene - a lungo andare - troppo melensa e scontata, a dissipare infine quella carica espressiva e artistica che invece il film possiede nel raccontare la passione per il cibo e per la propria cultura. E forse in un ideale parallelo tra questo film e Chocolat, va a favore del secondo anche una coppia di protagonisti (Johnny Depp e Juliette Binoche) che infondevano a una storia semplice un carisma decisamente più incisivo.

Amore, Cucina e Curry A quattordici anni di distanza da Chocolat il regista svedese Lasse Hallström torna a coniugare cibo e società per parlare del valore di ciò che può (e dovrebbe) accumunare le persone e culture diverse anziché allontanarle. Una parabola senz’altro edificante che Hallström condisce di tenerezza e passione ma che non riesce a sganciarsi da un percorso troppo buonista che al tono fiabesco affianca un evidente scollamento dalla nostra realtà percepita, creando dunque un senso di difficile appartenenza alla storia. Una commedia in ogni caso godibile per chi è alla ricerca di un po’ di sana evasione e (anche) di rifarsi gli occhi con i colori e l’alchimia degli appetitosi e abbondanti manicaretti che transitano per il film.

6

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