Le tracce musicali di un disco un tempo erano dodici, sei su un lato e sei su un altro: un'ottima canzone per ognuno dei lati, da far venir voglia di girarlo e girarlo in continuazione senza mai preferire un lato rispetto ad un altro. Marianne Lane (Tilda Swinton) è una rockstar che ha registrato parecchi album ed altrettanto successo, ma che dopo aver sforzato la voce decide di andare con il marito Paul (Matthias Schoenaerts) in vacanza a Pantelleria. La storia con Paul dura da sei anni, così come sei anni è durata quella con Harry (Ralph Fiennes) che arriva come un vulcano ad interrompere la loro tranquilla e silenziosa vacanza. Due lati di un disco che non potrebbero essere più diversi: Paul è introspettivo, silenzioso e a malapena tollerante nei confronti di un Harry vulcanico e logorroico che si fa accompagnare da una figlia conosciuta solo un anno prima, Penelope (Dakota Johnson). Godimento, eccessività e trasgressione da una parte e malinconica misura dall'altra, in un gioco di potere mentale per le attenzioni di una donna che, di fronte a tutta questa cacofonia emotiva, si rifugia in un totale silenzio verbale. L'equilibrio finisce per romperlo proprio la provocatoria figlia adolescente di Harry, innescando una serie di conseguenze che spingono i personaggi sempre più verso il fondo provocando proprio quell'A bigger splash evocato dal titolo.
Da piscine a splash, pregi e difetti di un'ispirazione
Nonostante fosse un compitino assegnato, Luca Guadagnino, a cui era stato richiesto di creare il remake del film La Piscine di Jacques Deray, riesce quasi subito a distaccarsi dal materiale originale cercando di trovare all'interno degli stessi meccanismi un suo stile ed un nuovo linguaggio. Per fortuna, perché di certo il paragone con le dinamiche messe in scena da Alain Delon e Romy Schneider sarebbe stato impietoso. La ricerca di un ritmo diverso ma comunque convincente sfugge ad ogni modo al regista che, nonostante tutto, non riesce a confezionare un film armonico né stimolante per lo spettatore. Esattamente come i suoi protagonisti anche Guadagnino dona l'impressione di voler necessariamente vincere una battaglia mentale, atteggiandosi in primissimi piani, zoom e sguardi diretti alla macchina da presa che risultano però invadenti e disturbanti. Non aiutano le scelte di sceneggiatura, che rompono completamente un'armonia già molto precaria, faticosamente costruita nei primi due terzi di pellicola con un twist finale, che di fatto avvia una caduta libera verso la rovina totale.
Dal twist in poi tutto diventa una caduta libera verso il disastro, e la comparsa degli attori italiani non aiuta: Corrado Guzzanti è costretto ad un imbarazzante ruolo di macchietta, stretto in una divisa da carabiniere con un improbabile accento siciliano, Elena Bucci soffocata da un piccolo ruolo marginale e caricaturale. La tragedia europea dell'immigrazione fa la sua comparsa in maniera del tutto casuale, ai limiti dell'offensivo: il timido tentativo di metaforizzare un fatto di cronaca moderna tra i più complessi e delicati del nostro tempo si trasforma in uno sbeffeggio fatto di luoghi comuni e battute da bar, ai limiti del fastidioso.
Un cast internazionale rappresenta l'unico punto di luce
L'unica nota positiva della pellicola, oltre agli stupendi paesaggi, è rappresentata dal cast di respiro internazionale: Tilda Swinton - a cui si deve l'idea della mancanza di voce della protagonista - dà vita ad una Marianne presente nel corpo e nei gesti, che riesce a farsi sentire con i gesti e con lo sguardo. Un'interpretazione interessante ed ottimamente coordinata con Ralph Fiennes, vero protagonista: è lui a mandare avanti il film e le scene in sua assenza si svuotano, perdendo di mordente e di interesse per lo spettatore. Ottimi anche i comprimari Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson, che ha intascato questo ruolo prima delle famose cinquanta sfumature e riesce a rendere il suo personaggio molto convincente. Peccato che non basti un cast competente per salvare un film che, purtroppo, finisce per essere tutt'altro che sufficiente ma al contrario soltanto confuso e fastidioso, inserito incomprensibilmente all'interno del concorso del Festival di Venezia.
Nel tentativo di riportare in scena La Piscine di Jacques Deray ma con una sua visione personale, Luca Guadagnino affoga in un film che arranca nella prima parte e crolla definitivamente nella seconda: una pellicola fuori tempo, che non riesce ad armonizzarsi con un cast di respiro internazionale che rappresenta l'unica vera nota positiva - insieme agli stupendi paesaggi di Pantelleria. I fasti di Romy Schneider e Alain Delon sono lontani, così come lo è anche l'espressività di David Hockney, autore della serie di quadri che hanno ispirato il titolo.