Recensione A better life

La risposta di Cèdric Kahn alla difficile situazione economica contemporanea.

Recensione A better life
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Da sempre il cinema si assume il duplice compito di essere specchio della società e intrattenimento visivo, alternando pellicole spettacolarmente ludiche e dedite al puro intrattenimento con trattati intimistici che spesso ci portano a riflettere su quelle che sono le problematiche del vivere civile. Tra queste ultime si inserisce alla perfezione Une vie meilleure, film francese diretto da Cédric Kahn che arriverà sul mercato internazionale con il titolo A Better Life.
In una Parigi contemporanea devastata dalla crisi economica degli ultimi anni, Yann (Guillaume Canet) è un cuoco trentacinquenne pieno di grandi sogni che si innamora di Nadia (Leïla Bekhti), cameriera ventottenne e madre single. Inebriati dalla loro relazione e affascinati dalla possibilità di una vita migliore, mettono in gioco tutta la loro vita e i pochi risparmi che hanno per acquistare una baita in riva al lago e trasformarla in un ristorante di successo. Ma la situazione non è per niente facile e i due presto si perdono all'interno di una giungla di finanziamenti difficili e prestiti bancari, che presto prendono il sopravvento sulla loro passione e li distruggono dall'interno. Per tirarsi fuori dai guai Nadia è costretta ad abbandonare la Francia per trasferirsi in Canada, lasciando il piccolo Slimane (Slimane Khettabi), sua unica ragione di vita, in affidamento temporaneo a un Yann sempre più compromesso e indebitato. Insieme, l'uomo e il bambino, affrontano creditori implacabili, un sistema politico indifferente alla disastrosa situazione dei meno fortunati e la durissima quotidianità, dove l'unico modo per sopravvivere sembra trascinarsi senza sosta all'interno delle giornate. Ma forse una speranza c'è, bisogna solo avere il coraggio di inseguirla dall'altra parte del mondo credendo ancora nella possibilità di una vita migliore.

Second opinion, a cura di Elena Pedoto

Dopo l’amor fou di Les Regrets Cédric Kahn torna al Festival di Roma con un film toccante dove lo slancio d’amore di due giovani si scontra con la cruda realtà della società contemporanea, asfissiata da una crisi che (infine) miete vittime soprattutto tra i più deboli, i più esposti, quelli come Yann e Nadia disposti a tutto pur di realizzare il loro sogno, ma impossibilitati a farlo per via di un sistema bancario e di finanziamenti che ha occhi solo per il vile denaro. Splendida la prova di Guillaume Canet nei panni del sanguigno Yann, uomo tenero e impulsivo che dovrà tirare fuori le unghie per salvare sé e il piccolo Slimane dall’abisso. Assolutamente credibile Leïla Bekhti nei panni della dolce Nadia, amorevole madre e compagna vessata senza sosta dalla vita. Un film che parla di un fragile e al tempo stesso indistruttibile trio di protagonisti sinceri, tenacemente aggrappati a una speranza: quella di poter lottare, contro tutto e tutti, pur di assicurarsi quella vita migliore che il mondo sembra in ogni modo negar loro. Cédric Kahn centra il cuore della storia, restituendoci la dolce speranza di una lotta destinata a farsi valere, mentre i suoi eroi di strada, preziosi scrigni di sentimenti maturati nel dolore di una latente sconfitta, acquistano scena dopo scena la forza indomita di super-eroi senza macchia.

Coerentemente contemporaneo

Indubbiamente il film di Cèdric Kahn si inserisce in una cornice sociale che non poteva apprire più contemporanea di così, data la disastrosa situazione economica che sembra accomunare tutta l'Europa. Scappare dalla propria condizione sociale appare sempre più un miraggio, in un mondo che costringe i meno fortunati a dirigersi sempre più verso strade sbagliate, solo perché le uniche percorribili. "Coloro che non posso pagare in contanti per il loro nuovo frigorifero o per la loro macchina sono costretti a pagarlo il doppio se vogliono avere accesso al loro credito. Le banche riservano le loro migliori condizioni ai loro migliori clienti... quelli ricchi. I prestiti a condizioni vantaggiose sono ristretti e così sono costretti a rivolgersi ad altri tipi di prestiti e a rate altissime, che alla fine li conducono in una spirale in discesa dalla quale è impossibile fuggire". Da questa riflessione parte il lavoro del regista sulla storia raccontata in A Better Life, così lucida da non sembrare nemmeno una finzione cinematografica. Gli eventi si susseguono seguendo un ritmo a doppia spirale: l'emotività sale gradualmente allo stesso modo in cui la situazione sociale dei protagonisti peggiora inesorabilmente, creando così un equilibrio che mantiene la pellicola sempre sul filo dell'interesse dello spettatore che, proprio come i personaggi, insegue la speranza di un futuro migliore, almeno cinematograficamente parlando. Seppur estrapolato dal tipico contesto in cui il cinema ci ha abituati a vederlo, Guillaume Canet dimostra ancora una volta di essere un buon attore dalle spiccate capacità drammatiche, che si amalgama bene con la performance di Leïla Bekhti, straordinaria proiezione visiva delle difficoltà che il suo personaggio affronta sullo schermo. A tenere in piedi la pellicola, però, è Slimane Khettabi: è il pensiero delle difficoltà che il bambino è costretto ad affrontare, rese alla perfezione da questo giovane attore, a costruire il legame empatico tra pellicola e spettatore e a disegnare un profilo sociale della storia emotivamente coinvolgente.

Une Vie Meilleure A Better Life è una pellicola che, seppur in alcuni momenti tende a esagerare con i toni emotivi e le evoluzioni attoriali, riesce a rimanere coerente fino alla fine, senza perdersi in finali aperti o interrogativi irrisolti. Cédric Kahn fotografa una realtà impossibile da negare, ricca di impedimenti e difficoltà apparentemente insormontabili, senza scadere in facili esagerazioni ottimiste o pessimiste, pur lasciando quella speranza per il futuro di cui tutti, soprattutto in un presente come questo, abbiamo bisogno di poter credere.

7

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