Recensione 45 Anni

Charlotte Rampling grande interprete nelle pieghe di un matrimonio fondato sulla menzogna

Recensione 45 Anni
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Quando si arriva a quarantacinque anni dal proprio matrimonio, sembra quasi di non riuscire a ricordare una vita senza il partner: la passione cede il posto all'amore, e lentamente al sentimento che unisce due esseri umani finisce per aggiungersi l'abitudine, la stessa che conforta l'animo diventando una vera e propria compagnia. Se dopo quarantacinque anni, come nel caso di Kate, si ama ancora profondamente il proprio marito - e si è senza figli e quindi con un unico punto di riferimento - una rottura di quell'equilibrio può diventare destabilizzante ed arrivare a questionare interi periodi di vita. Sembra essere proprio quello il punto focale dell'analisi di Andrew Haigh in 45 Anni, il passato ed il potere che può avere sul nostro presente, la capacità che noi stessi gli diamo di incrinarlo: nel freddo di un paesino inglese il regista americano incastona un dramma dalle atmosfere intense e delicate, fatto di sguardi e di silenzi, che rimanda alla mente un tocco quasi "Bergmaniano" e che tuttavia, su molti livelli, sembra grattare solo la superficie di qualcosa di molto più profondo.

Rampling e Courtenay, due divi del passato affrontano il presente

Dopo un ottimo esordio nel 2011 con Weekend, Andrew Haigh torna a parlare d'amore dopo aver raccontato la scoperta della sessualità e dell'amore omosessuale, occupandosi invece stavolta di una potente analisi matrimoniale che tuttavia sembra ancorata al passato sotto multiformi livelli - non solo a livello di sceneggiatura, ma anche nel modo di girare e di costruire il film e soprattutto nella scelta degli attori: Charlotte Rampling e Tom Courtenay strizzano l'occhio alla loro carriera passata e al loro giovanile ruolo di punta all'interno del cinema europeo, mettendosi al servizio di un effetto nostalgia che seppur facilmente criticabile in realtà aiuta molto la pellicola e le loro interpretazioni. Entrambi infatti estremamente convincenti, disegnano un duetto che viaggia all'interno della pellicola attraverso molteplici strati e sfumature, regalando performance asincrone in parecchi momenti eppure comunque perfettamente armonizzate. La scena finale regala un momento di perfezione a Charlotte Rampling, che da sola riesce a rendere gli ultimi istanti di pellicola densi di significato e molto potenti.

Un racconto delicato, che rimane in superficie

È soprattutto grazie alle sue interpretazioni che il film convince profondamente, ma non sembra essere da meno nemmeno la consapevolezza registica, che oltre a strizzare l'occhio al passato esattamente come il tema centrale del film riesce a mantenere con profonda intelligenza una profonda tensione senza mai esagerare. La telecamera rispetta profondamente i suoi personaggi, non si fa mai invasiva né tanto meno giudicante ma si limita ad affrescare con attenzione due esseri umani. Haigh non illumina le ombre della loro vita ma si limita a disegnarle, a dargli una forma che rimane tuttavia soltanto abbozzata, come un mostro chiuso nell'armadio che non si riesce a tirare fuori. Non ci riesce Geoff, che mente continuamente alla moglie pur amandola molto, e non ci riesce nemmeno Kate, che chiude le sue scoperte sulla vita del marito a chiave in soffitta e nel suo cuore, senza mai realmente affrontarle.

45 Anni La delicatezza di Andrew Haigh nel delineare 45 Anni e nel raccontare il dramma di un matrimonio fondato sul segreto è allo stesso tempo la forza e anche la debolezza del film. Il regista infatti sceglie di non sporcarsi le mani e disegna solo la superficie del suo dramma, rimanendo esterno ad ogni tipo di giudizio ma facendo mancare allo spettatore una visione più approfondita. Tuttavia l'eleganza stilistica e le grandi interpretazioni rendono la pellicola estremamente interessante e degna del Concorso del 65° Festival Internazionale di Berlino, dove è stata presentata in anteprima mondiale.

7

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