Intervista Vizio di forma: Paul Thomas Anderson

A tu per tu con il regista di The Master e Il petroliere

Intervista Vizio di forma: Paul Thomas Anderson
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Dopo Joaquin Phoenix, protagonista assoluto di Vizio di forma nei panni dell’investigatore privato Doc Sportello, ecco anche il resoconto della nostra intervista con il regista e sceneggiatore del film: Paul Thomas Anderson. Anderson, figura di primissimo piano del panorama cinematografico e autore di alcuni dei maggiori cult del cinema americano degli ultimi vent’anni, da Boogie Nights a Magnolia, da Ubriaco d’amore a Il petroliere, fino al recente The Master, con Vizio di forma ha deciso di cimentarsi con l’omonimo romanzo del celebre scrittore postmoderno Thomas Pynchon: una detective story estremamente densa e complessa, il cui adattamento, impresa tutt’altro che semplice, è valso ad Anderson la nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura. Durante il suo incontro con la stampa romana, il grande regista ci ha parlato del suo approccio con il romanzo di Pynchon e del lavoro sul set con Joaquin Phoenix, e ci ha rivelato anche chi è il suo personalissimo favorito per la prossima edizione degli Oscar...

E' lui, il vero "Master"

Dopo Il petroliere e The Master, aveva voglia di tornare invece a girare un altro film dalla dimensione corale?
Sì, in parte forse c’è stata questa esigenza. In The Master c’era solo un ruolo femminile importante, ne Il petroliere non ce n’era nessuno, e invece in Vizio di forma ci sono tanti bei personaggi femminili. Mi intrigava l’idea di mettere insieme questo grande gruppo di attori. Del resto, Raymond Chandler una volta ha detto: “Il punto centrale di ogni racconto poliziesco è far sì che il detective possa flirtare con una ragazza dietro l’altra”.

Ha voluto sottolineare il carattere di romanticismo del personaggio di Doc Sportello, rispetto al romanzo?
Mi fa piacere che abbiate notato questo aspetto, già nel romanzo Doc è una figura molto romantica: lui è un personaggio confuso dalla lettura dei titoli dei giornali, non è stupido né strafatto, ma ha difficoltà ad accettare la realtà.

A quali fonti ha attinto per ricreare l’atmosfera e la vena ironica di Vizio di forma?
Credo che Thomas Pynchon abbia utilizzato la trama poliziesca solo come un pretesto, riprendendo gli elementi tipici della narrativa di Raymond Chandler e di quel genere letterario per poi trasformarli in qualcosa di suo e creare una propria visione. Per me, ad esempio, un riferimento visivo è stato il fumetto I favolosi Freak Brothers, tre fratelli strafatti che cercano di drogarsi facendola franca dalla polizia di Los Angeles.

Doc Sportello è un personaggio affetto dalla dipendenza dalle droghe e dai sentimenti: come mai ha sottolineato questo aspetto?
Il tema della dipendenza non riguarda solo l’America. Credo che questo aspetto sia legato al fatto che tutti quanti siano insicuri e vogliano sentirsi in pace con se stessi, in un modo o nell’altro.

Quale importanza attribuisce alla musica all’interno del film?
La musica ha un ruolo fondamentale, in particolare in un film come questo. La responsabilità, dal punto di vista della soundtrack, è quella di non ricreare semplicemente una hit-parade di successi: la musica deve diventare un veicolo emotivo, ma anche riportare la storia sui giusti binari, soprattutto in un film come Vizio di forma, in cui la trama tende a diventare fin troppo ampia e complicata... le canzoni, come quelle di Neil Young, servono a riportare lo spettatore con i piedi per terra, o al contrario a farlo fluttuare.

Noir... ma non solo

Come mai ha scelto di assegnare la voce narrante al personaggio di Sortilège?
Nel bel mezzo della stesura della sceneggiatura ho avuto questa idea: inserire una voce narrante che impedisse di lasciare fuori tanto ottimo materiale. Ho creduto che potesse essere un espediente utile e piacevole. All’inizio mi era venuto in mente di affidare la voce narrante a Doc, ma poi ho scelto Sortilège perché l’attrice, Joanna Newsom, è una cantante, suona l’arpa ed ha una voce splendida, davvero unica, che sembra quasi provenire da un’altra epoca.

Da dove è nata l’idea dei carrelli lunghi che si restringono fino al primo piano di un personaggio?
Nel film ci sono parecchie sequenze caratterizzate da dialoghi serrati, e volevo far sì che entrambi i personaggi impegnati in un dialogo comparissero insieme sullo schermo... l’idea era quella di usare spesso il campo lungo, ma poi andava sperimentata sul set, non era un ideale che poteva essere imposto a prescindere; per fortuna ha funzionato.

Nel noir classico il detective ha la funzione di riportare l’ordine e la giustizia, mentre in Vizio di forma, così come in altri esempi di neo-noir (ad esempio Il lungo addio, di Robert Altman), il caos sembra una dominante ineludibile: come si è approcciato a questo aspetto?
In realtà, io ho fatto di tutto per cercare di mantenere le distanze dai modelli del noir, anche perché già Pynchon aveva instaurato molti riferimenti a quel genere. L’universo descritto in Vizio di forma è piuttosto sopra le righe, quindi l’obiettivo era quello di attenerci al contrario ad un registro quanto più possibile semplice e classico.

È intenzionale il senso di malinconia che traspare dai vari personaggi di Vizio di forma?
I personaggi del film sono caratterizzati spesso dalla malinconia e da un senso di sottile paranoia: una paranoia che si insinua anche in Doc, e che viene trasmessa sullo schermo soprattutto grazie a Joaquin Phoenix. Lui è un attore capace di esprimere con il suo volto sfumature estremamente varie, e non è un’impresa facile.

Lei è nominato all’Oscar per la miglior sceneggiatura; fra i candidati di quest’anno, a chi darebbe la statuetta?
A Wes Anderson per Grand Budapest Hotel.

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