Intervista The Gerber syndrome: il contagio - Intervista al regista

Maxi Dejoie ci racconta il suo "contagioso" esordio in uscita in dvd

Intervista The Gerber syndrome: il contagio - Intervista al regista
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Cosa è il morbo di Gerber? Una nuova patologia dagli effetti devastanti su cui una troupe televisiva decide di realizzare un documentario attraverso la testimonianza di tre persone: un medico, una ragazza che è stata contagiata e un giovane addetto alla sicurezza.
Ambientato a Torino, è da questi pochi elementi che prende il via The Gerber syndrome - Il contagio, primo lungometraggio firmato da Maxi Dejoie, mockumentary che, come l'osannatissimo The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair (1999) di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, sfrutta l'effetto realtà al fine di far passare per vero quanto raccontato sullo schermo.
Mockumentary volto a far luce su questa misteriosa malattia che si manifesta inizialmente come una forte influenza, per poi arrivare a ridurre chi ne è affetto a una sorta di aggressivo zombi.
Malattia che colpisce le cellule cerebrali e che si trasmette tramite lo scambio di liquidi ematici, della quale apprendiamo dettagli man mano che avanzano i circa ottantacinque minuti di visione; i quali, ben girati e che non hanno molto da invidiare a più costosi prodotti analoghi d'oltreoceano, non mancano, ovviamente, di tirare in ballo situazioni horror con protagonisti gli infetti.
Mai distribuiti nelle sale cinematografiche italiane, ma visti in non pochi festival specializzati, dallo Sci-Fi London ai nostri Trieste science + fiction, ToHorror Film Fest e Fantafestival, circa ottantacinque minuti di visione che, fortunatamente, approdano, però, nel mercato dell'home video digitale grazie a Videa-CDE, la quale gli riserva un trattamento tutt'altro che disprezzabile.
Il dvd in questione, infatti, racchiuso in custodia amaray inserita in fodero cartonato, sfoggia una ricca sezione extra che, al di là del trailer, di una scena alternativa e di una tagliata, riserva un backstage di otto minuti, un breve tour per i festival presso cui il film è stato presentato, uno speciale riguardante il suo suono, interviste a regista e produttori e, non ultimo, il cortometraggio a tema bellico Resistanz, diretto dallo stesso Dejoie.
Il quale, tra l'altro, in occasione dell'uscita del disco, ha risposto anche ad alcune nostre domande.

Maxi quarantena!

Possiamo definire The Gerber syndrome - Il contagio come una variante tricolore di The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair?

Maxi Dejoie: Il paragone tra The Gerber Syndrome - Il contagio e The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair viene fatto abbastanza di frequente; tuttavia, sento di doverlo respingere, perché i due film non hanno veramente niente in comune. La prima e sostanziale differenza sta nel genere: The Gerber Syndrome - Il contagio è un mockumentary (falso documentario), mentre The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair è un found footage (girato ritrovato). Questi sono due generi accostabili, ma radicalmente diversi, con regole ed obiettivi quasi opposti.
L'obiettivo del found footage è di portare lo spettatore a credere che quello che si sta guardando si tratti di un girato reale, ritrovato in qualche contesto misterioso e presentato senza alcun tipo di manipolazione, che sia di montaggio, musica o effetti speciali. BWP è stato uno dei primi film di questo genere, seguito in tempi recenti da molti altri esempi come [rec], ESP: Fenomeni Paranormali, Paranormal Activity, Chronicles, ecc.
Il mockumentary, invece, vuole costruire una storia esattamente come farebbe un documentarista, quindi con reportage, interviste, immagini provenienti da fonti diverse e montate insieme con lo scopo di creare qualcosa che ai più potrà sembrare un documentario di stampo televisivo. In un certo senso, penso che il mockumentary, se fatto bene, possa essere molto più credibile di un found footage, perché offre allo spettatore qualcosa di molto simile a quello a cui è abituato a credere tutti i giorni: la televisione. Durante la scrittura della sceneggiatura ho avuto modo di verificare in più occasioni che la famosa credenza "se lo ha detto la TV deve essere vero" è quantomai reale ed attuale. Per questo abbiamo deciso, durante la realizzazione di The Gerber Syndrome - Il contagio, di puntare a qualcosa che somigliasse a un reportage di Discovery Channel, per fare un esempio, cercando sempre di mantenere alto il livello di verosimiglianza.

Come è nata l'idea del film?

Maxi Dejoie: L'idea del film è nata sull'apice della cosiddetta epidemia di influenza suina, verso la fine del 2009. I media non parlavano d'altro, con toni sempre più allarmistici. In giro si sentiva molta tensione, la gente aveva paura. Poi, un po' per volta, si è capito che si trattava di un falso allarme, o, quanto meno, di una situazione meno allarmante di quanto i governi e i media avessero voluto farci credere. Così, ho iniziato a pensare: ma se invece di essere un falso allarme, si trattasse di un'epidemia seria, come lo sono state l'influenza spagnola o la peste bubbonica, come si comporterebbero i governi? Le istituzioni sanitarie? I media? La gente comune? Avevo molte domande e, con l'aiuto di due medici, una virologa e un'infettivologa, ho cercato di dare alcune risposte, che ho inserito nella sceneggiatura del film.

A tutti gli effetti, possiamo parlare di The Gerber syndrome - Il contagio come un film di zombi o, comunque, riguardante infetti zombeschi. C'è qualche pellicola del filone a cui ti sei ispirato o che ami particolarmente?

Maxi Dejoie: Durante il periodo di documentazione, prima della scrittura della sceneggiatura, ho passato diverso tempo con i miei consulenti scientifici (appunto, due medici, una virologa e un'infettivologa) che mi hanno dato le dritte per rendere questo film il più verosimile possibile. Ebbene, in quei giorni mi sono accorto che, come spesso accade, la realtà è decisamente peggiore della finzione. Esistono malattie, fortunatamente debellate o poco diffuse, con effetti che vanno ben al di là di quelli descritti nei film di zombi. Il morbo di Gerber non è altro che l'unione di sintomi ed effetti provocati da diverse malattie, come Meningite, Encefalite giapponese, Malaria o Sifilide. Chiaramente, certe parti sono state romanzate, ma la maggior parte degli elementi che compongono la storia di The Gerber Syndrome - Il contagio sono reali e, per trovarne le fonti, è sufficiente fare un giro su Wikipedia o sfogliare qualche giornale degli ultimi anni.
Quindi, pur essendo un amante dei film di zombi, non posso dire di essermi ispirato a nessun film in particolare. Le ispirazioni sono arrivate più da film come Death of a President e The War Game o da serie TV come Cops.

Effetto realtà

Quanto è costato il film? Dovendo ricavare un effetto realistico, in che modo avete lavorato?

Maxi Dejoie: A questa domanda dovrebbero rispondere i produttori, però posso dire che il film non è costato molto, si tratta decisamente di un film a basso budget, anche per i canoni italiani. Siamo riusciti a mantenere i costi bassi coinvolgendo alcuni dei professionisti che hanno lavorato al film con una compartecipazione, in pratica co-producendo il film con il loro lavoro in cambio di una fetta di diritti. E' un sistema che ha funzionato nel nostro caso perché, fin dall'inizio, si è sentita molta passione da parte delle persone coinvolte, sia del cast che della crew. E' stata una scommessa che ora, col senno di poi, penso di poter definire ampiamente vinta.

Come è avvenuta la scelta del cast?

Maxi Dejoie: Per mantenere il realismo, abbiamo lavorato in modi non convenzionali rispetto alla realizzazione di un film di fiction tradizionale. La prima "stranezza" è avvenuta durante la scelta di cast e crew. La crew, e qui parlo di direttore della fotografia, secondo operatore e fonico, è stata scelta non solo in base alle loro qualità professionali, ma anche in base alla loro volontà di mettersi in gioco su un lavoro in cui loro stessi sarebbero diventati parte integrante del film, con una interazione con gli attori/personaggi pressoché continua. Per i personaggi, d'altro canto, abbiamo selezionato alcuni attori sulla base della loro professionalità e capacità di improvvisazione, come con Sax Nicosia, Valentina Bartolo o Pia Lanciotti, mentre, per altri ruoli, come nel caso di Luigi, co-protagonista del film, abbiamo mirato al totale realismo, scegliendo una persona, Luigi Piluso, che non aveva mai recitato prima e che ha improvvisato il 100% delle sue battute. La sceneggiatura non aveva praticamente battute scritte, solo alcune per i momenti più delicati in cui non c'era spazio per troppa improvvisazione. La quasi totalità delle scene era composta da indicazioni. Indicazioni che ho visto e discusso con gli attori prima di girare e che poi sono state interpretate praticamente ex-novo una volta sul set. A volte con dei risultati del tutto inaspettati.

Quale sarà il tuo prossimo progetto? Prevedi un sequel del film?

Maxi Dejoie: Attualmente sto lavorando a un documentario vero, non un mockumentary, in cui racconteremo storie dal KGB negli anni Ottanta.
Ci stiamo concentrando su Vilnius in Lituania e siamo andati a cercare ex-dissidenti politici ed ex interrogatori ed impiegati del KGB. Vorrei riuscire a sentire i punti di vista di persone che erano in situazioni opposte e vedere, se ci sono, dove stanno i punti in comune tra le loro storie. Uno sguardo sulla vita nei paesi al di là della cortina di ferro, durante l'ultimo decennio dell'Unione Sovietica. Dopo The Gerber Syndrome - Il contagio continuo la mia collaborazione con Indastria film che ha subito creduto nell'idea e mi sta supportando al massimo in questa nuova avventura.
Si è parlato di un possibile sequel di The Gerber Syndrome - Il contagio, ed è sicuramente un'idea attraente. Se dovessi farlo, non penso che continuerei con il mockumentary, forse, questa volta, farei un film di finzione pura, magari ambientato in un altro paese, chissà. Intanto, vediamo come va l'uscita del primo capitolo, poi decideremo se il morbo di Gerber dovrà contagiare altre persone oppure no.

Dichiarazione dei produttori Claudio Bronzo e Lorenzo Lotti

Dal primo incontro abbiamo visto le potenzialità del progetto e del regista, che, a dispetto della sua giovane età, ha dimostrato di saper gestire il set, rispettare i tempi e tirare fuori il meglio dai professionisti coinvolti. Tutte le persone coinvolte nella realizzazione di questo film ci hanno creduto e hanno investito in prima persona perché The Gerber Syndrome vedesse la luce. Per fare questo film tutti hanno dovuto riconsiderare le proprie posizioni e mettersi nuovamente in gioco; gli attori professionisti hanno dovuto confrontarsi con un metodo di recitazione decisamente non convenzionale e la troupe ha dovuto trovarsi per la prima volta dall’altra parte dell’obbiettivo diventando a sua volta protagonista della storia; tutto questo è stato fatto con grande collaborazione generando uno scambio che ha arricchito le persone e il film stesso.

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