Intervista Pif al Giffoni 2014

Pif si racconta al pubblico di Giffoni 2014: Pierfrancesco Diliberto, dopo la proiezione del suo film di debutto alla regia, La mafia uccide solo d’estate, è stato bersagliato di domande, curiosità e osservazioni.

Intervista Pif al Giffoni 2014
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Ai bambini non puoi mentire, con loro ti ritrovi con le spalle al muro, capiscono subito se hai un doppio fine, se li vuoi raggirare o li tratti con sufficienza. I 3500 giurati del Giffoni Film Festival ne sono un esempio perfetto e lo hanno dimostrato fin dal primo incontro-dibattito della 44° edizione della kermesse campana (18-27 luglio) che ha visto come ospite Pif, nome d'arte di Pierfrancesco Diliberto. Dopo la proiezione del film di debutto alla regia, La mafia uccide solo d’estate, l’artista è stato bersagliato di domande, curiosità e osservazioni.
D'altronde non è la prima volta che l’artista palermitano si confronta con un tema così scottante come la mafia: ne I cento passi di Marco Tullio Giordana ha lavorato come aiuto regista. Qui si trova davanti il pubblico più critico e intransigente, quello dei piccoli, provenienti da un capo all'altro del mondo e pronti a scandagliare le origini del male e capire come fare la differenza.
Fin dall’ingresso in sala l’ex Iena dimostra emozione ma anche timore e confessa di aver provato gli stessi sentimenti durante le riprese e nell'attesa che il film venisse distribuito in sala.

Ricordi dal set

Cosa ti spaventava di questa regia?
Temevo la reazione dei palermitani: all'inizio della pellicola non facciamo una bella figura, ma mi sono autorizzato da solo a parlare di una tragedia di tutta Italia. È andato bene perché ho fatto riflessioni che noi palermitani non abbiamo occasioni di dirci in faccia.

Di quale scena sei maggiormente orgoglioso?
In quella dei funerali di Dalla Chiesa e Borsellino dove abbiamo utilizzato sia immagini di repertorio che di fiction. Per settimane non ho dormito per paura che si mixassero bene e con i mezzi che avevamo a disposizione abbiamo realizzato un miracolo.

E quale ricordi come la più difficile?
Siccome le cose sono andate bene dimentichi le difficoltà, ma comunque entravo in paranoia per i dettagli, poi in postproduzione mi accorgevo di averne girate venti varianti quando magari era buona la prima.

Quali pellicole hai preso come riferimento?
Molti parlano de La vita è bella di Benigni, ma per me il film di riferimento è stato Forrest Gump. Quando mi sono trasferito a Milano per Le Iene molti mi facevano domande sulla mafia. L’equivoco è pensare che i mafiosi siano come Totò Riina, invece ce n’erano alcuni borghesissimi che la Palermo bene invitava a casa. Allora ho iniziato a leggere libri e ho pensato di farne un film. Spero di mantenere la stessa naturalezza nella prossima pellicola e rimanere il più spontaneo possibile.

Riconoscere gli eroi

Cosa insegna il film?
La mia generazione ha dovuto aspettare la morte per dire che una persona era un eroe. Individuateli prima che sia la mafia ad indicarveli.

Pensi che lo sport distragga dai veri problemi?
Distrae moltissimo: una volta avevo letto di molti turisti bloccati sul traghetto a Messina. Il motivo? Non era perché mancava loro la casa ma perché la squadra di calcio stava per essere retrocessa. Allora capisci che è una droga. La mafia non ti deve prendere completamente: noi dobbiamo pensarci ma anche andare al mare: è questa la scommessa.

Che tipo eri da bambino?
A scuola andavo malissimo, quando vado a Palermo mia madre tira ancora fuori le varie pagelle. Negli anni Ottanta mio padre aveva una casa di produzione video, la mia scuola è stata quella. Ma vorrei essermi applicato di più in inglese.

Il successo ti ha reso più ricco o più snob?
È un problema. Non credo di essere cambiato ma prima nessuno faceva caso a me, quindi se avevo la forfora me ne fregavo, ora sto attento e oggi ho provato a stirare la camicia, cosa che non capitava dai tempi di Papa don’t preach di Madonna. Prima davanti alla telecamerina la gente parlava liberamente. Non sono come Belen, magari! Farei veramente i soldi... Il rischio di montarsi la testa c’è, ma speriamo non accada.

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