La vendetta di un uomo tranquillo: Incontro con il regista Raul Arevalo

Regista del violento dramma a tinte thriller La vendetta di un uomo tranquillo, abbiamo incontrato a Roma lo spagnolo Raúl Arévalo.

La vendetta di un uomo tranquillo: Incontro con il regista Raul Arevalo
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Si chiama Raúl Arévalo e, spagnolo classe 1979, vanta una filmografia di oltre cinquanta titoli affrontati in qualità di attore. Una filmografia che, tra grande e piccolo schermo, include collaborazioni con Steven Soderbergh, Pedro Almodóvar, Alberto Rodríguez e a cui, ora, si aggiunge la sua prima esperienza dietro la macchina da presa: La vendetta di un uomo tranquillo, che, trionfatore ai premi Goya, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 30 Marzo 2017, distribuito da Bim Distribuzione. Abbiamo incontrato il neo regista a Roma, dove ha anche rivelato divertito: "Non mi attraeva interpretare questo film, perché non ho idea neanche di come facciano molti a dirigere ed interpretare un lungometraggio allo stesso tempo. Immagino che si avvalgano di assistenti, ma, in quel caso, non mi divertirei più, perché facendo il regista ho scoperto che mi piace un po' comandare e stare dietro la macchina da presa. Come attore mi piace che mi comandino, ma come regista mi piace comandare gli altri, visto che non mi riesce nella vita".

Intervista con un cineasta tranquillo

Il percorso di progressiva follia in cui si ritrova coinvolto il protagonista del film ricorda un po' quello raccontato da Sam Peckinpah nel suo Cane di paglia...

Per quanto riguarda Sam Peckinpah, sicuramente mi sono ispirato al suo cinema per quanto riguarda il lato estetico e l'aspetto relativo alla violenza secca, cruda e diretta, ma ho avuto molteplici modelli a cui rifarmi, da Jacques Audiard ai fratelli Dardenne, passando per il Carlos Saura degli anni Sessanta e Settanta e il vostro Matteo Garrone.

Sebbene si tratti di un film sulla violenza, l'attore protagonista sembra nascondere ciò che ha dentro. Come avete lavorato?
Gli attori sono miei amici, quindi, insieme al fatto che io stesso sono un attore, la cosa mi facilitava un po' tutto. L'elemento importante, per me, erano gli sguardi, i volti, le espressioni sul viso, avevo bisogno di persone che avessero una faccia che potesse sembrare quella del tuo vicino, normale, e, allo stesso tempo, che avessero anche una certa età. Ciò, tra l'altro, ha creato problemi di finanziamento, perché i dirigenti volevano attori giovani, belli, che bucassero lo schermo in tv, ma io ho difeso l'aspetto del volto che potesse esprimersi nel silenzio, proprio come quelli dei film dei Dardenne o di Gomorra di Garrone. Vi sono sicuramente tanti attori giovani, belli e prestanti, ma non avrebbero sicuramente avuto nulla a che vedere con questo genere di film. Fondamentale, poi, era il fatto che questi personaggi si portassero sulle spalle il peso della vita.

Dopo tanti anni di recitazione, come è nata la vocazione di passare alla regia?
Già da bambino volevo fare il regista, poi, a diciassette anni, si è presentata questa opzione attore ed ho avuto fortuna perché lavoro tanto in teatro, in televisione e, soprattutto, al cinema. Ogni lavoro che ho fatto è stato come una scuola di regia, per imparare, poi, otto anni fa, è venuta fuori questa storia attraverso una conversazione che ho ascoltato nel bar di mio padre, simile a quello di Curro. Commentando una notizia passata al telegiornale, ho ascoltato "Se succedesse qualcosa di simile a me, io prenderei il fucile ed andrei a sparare a tutti i colpevoli". Quindi, l'idea della vendetta è trita e ritrita, ma volevo raccontare una storia cruda, realista, cercare di capire cosa volesse dire, in realtà, questa idea dell'uccidere chi ti ha fatto del male.

Il film dove è girato?
Io penso che bisogna parlare sempre di ciò che si conosce meglio. Questo tema e le vicende raccontate ne La vendetta di un uomo tranquillo non le conosco e spero non mi debbano mai riguardare, ma ciò che conoscevo erano le atmosfere. Ho voluto ambientare il tutto, appunto, in posti in cui sono cresciuto e riportarne i dialoghi e il modo di parlare della gente. Questo perché difendo il cinema che ha una propria identità, solo in questo modo si riesce ad essere universali.

Come si è lavorato sull'estetica del film?
All'inizio del film sto molto con la macchina da presa addosso al personaggio, perché mi interessa più seguire il suo pensiero, cosa ha nella testa, quindi il dialogo non è l'elemento principale. Man mano che il film acquista maggiormente i toni del genere, il film si apre di più e sto meno addosso al personaggio. Con il fattore della violenza ho operato al contrario, perché è più esplicita all'inizio, per poi essere meno mostrata.

Tutto il resto è Goya

Sebbene il film sia maggiormente vicino ad un dramma d'autore che ad un prodotto di intrattenimento, rientra pienamente nel revenge movie. Quali altri titoli appartenenti al filone si potrebbero citare?
Questa è una buona domanda perché ora non me ne viene in mente neanche uno (ride). Comunque, nel film volevo questo aspetto più intimista, più contemplativo, da cinema d'autore, un po' come i Dardenne, appunto, per introdurlo negli stilemi del road movie, del viaggio con il fucile e della violenza, da prodotto di genere. L'aspetto più difficile è stato proprio questo: unire i due diversi elementi.

L'esperienza d'attore avrà sicuramente portato ad apprendere qualcosa dai diversi registi con cui si è lavorato...
Io ho imparato da tutti i registi con cui ho lavorato, è stato un processo durato talmente tanti anni che, ormai, ho fatto un insieme di cose che ho appreso e, di conseguenza, mi riesce difficile identificare cosa da ognuno di loro. Nel bene e nel male, ho imparato da tutti e l'ho fatto mio. Per quanto riguarda Pedro Almodóvar, è inimitabile, io gli voglio molto bene, mi ha seguito tanto anche nel lavoro di questo mio primo film. Ha un linguaggio talmente particolare nel modo di rivolgersi agli attori e al cast tecnico, che è impossibile imitarlo.

Quanto impiegheranno ad Hollywood per fare un remake di questo film?
Al Festival di Toronto ci si erano avvicinate alcune persone interessate. Forse, sarebbe divertente vedere un americano riprendere il ruolo de La vendetta di un uomo tranquillo, ma io preferisco che si veda in giro il mio film, anziché un remake. In ogni caso, un rifacimento avrebbe più senso in America Latina o in Italia.

Che emozione trasmette la vittoria del Goya all'opera prima?
Prima di tutto, il mio sogno era riuscire a finire il film dopo otto anni, già portarlo a termine mi era sembrato un grandissimo premio. Poi, vincere il Goya è andato al di là delle più rosee ed inimmaginabili aspettative. Per quanto possa essere una simbologia scontata, è stato un po' come vedere una squadra di calcio di serie b vincere la Coppa dei campioni. Perché gli altri nomi in concorso erano Juan Antonio Bayona, Alberto Rodríguez, con cui ho fatto La isla minima, e Pedro Almodóvar. È stata una sorpresa talmente grande che ancora non riesco a crederci, anche perché un premio del genere consente a quello che è un piccolo film di poter uscire qui in Italia e in Francia, oltre che di girare in Spagna maggiormente rispetto alle proprie possibilità.

Dobbiamo aspettarci un'opera seconda?
Certo, ho già l'idea e la sto scrivendo da un mese. Non sarà una commedia e neppure un thriller, ma un dramma e non posso ancora dire di cosa parlerà.

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