Intervista Il Paradiso degli Orchi: Daniel Pennac

Daniel Pennac ci racconta, insieme a regista e protagonista, il passaggio su schermo di uno dei suoi romanzi più famosi

Intervista Il Paradiso degli Orchi: Daniel Pennac
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Sicuramente, Daniel Pennac è tra gli scrittori più apprezzati da un pubblico di tutte le generazioni: i suoi romanzi sono intelligenti, divertenti e sempre molto arguti. Proprio per questo l’idea che uno dei suoi libri più famosi, Il Paradiso degli Orchi, sia adattato per il cinema rende allo stesso tempo eccitati e terribilmente spaventati. La tensione è tanta e le aspettative sono alte ma, dalle parole che l’autore stesso ha utilizzato per presentare la pellicola al Festival Internazionale del Film di Roma, possiamo stare tranquilli. Tutto lo spirito della saga di Benjamin Malaussène è rimasto intatto nel lavoro di Nicolas Bary, anche lui arrivato a Roma, insieme all’attrice Mèlanie Bernier, per presentare il film al grande pubblico.

Il paradiso degli orchi è un romanzo culto: come ti sei avvicinato a un romanzo che ha, socialmente, un peso così importante?
NB: Avevo letto il romanzo quando andavo a scuola ed era sempre rimasto nel mio bagaglio di letture. Per il mio primo film avevo lavorato con i bambini ed ero alla ricerca di una seconda avventura con la quale cimentarmi. Ho avuto la fortuna di rileggere il libro lo stesso giorno in cui, camminando per strada, ho scoperto che Daniel Pennac leggeva un testo in teatro. L’ho preso come un segno! L’ho cercato all’uscita del teatro e gli ho spiegato quanto mi sarebbe piaciuto adattare il suo libro per il cinema. Lui mi ha detto di sì. Ne sono stato entusiasta, mi ero identificato con molte cose, la storia caleidoscopica e piena di sentimenti... senza pensare alle difficoltà che poi avrei incontrato nella realizzazione. Ho cercato di essere molto fedele all’universo creato da Pennac nel mio adattamento, di fare in modo che i lettori appassionati potessero ritrovarsi in esso, senza creare una trasposizione letterale, trasmettendo la linfa vitale, l’energia dell’universo di Pennac, affinché il film diventasse autonomo rispetto al romanzo. Abbiamo un po’ modernizzato le cose: non volevamo fare un film ambientato negli anni '80, ma qualcosa di contemporaneo, resuscitare le sensazioni che avevo provato leggendo il libro.

Louna è la sorella del protagonista, ma è anche una futura madre. Come ti sei approcciata al personaggio?
MB: Il mio è un personaggio un po’ particolare perché si tratta di un adattamento e ci sono un paio di cose diverse. All’inizio del libro Louna non vive in quella stessa casa, come la madre, ma questo non poteva funzionare in un film di un’ora e mezza. Così Nicolas ha deciso di accorpare Louna, che è incinta, a Clara, prendendo il suo carattere: è molto delicata, dolce, con una vocina molto tenera, ed è anche un po’ una mamma per tutti. Così a questo lato protettivo di Clara è unita l’energia di Louna. Era una grande sfida, soprattutto perché noi tutti amiamo i personaggi di Pennac.

Spesso succede che, vedendo l’adattamento cinematografico di un libro, si resti delusi da esso. Lei si è sentito rappresentato da questo film o lo ha deluso? In più il regista ha girato il film a 25 anni e si dice che lei ci abbia messo solo 5 minuti a convincersi a cedergli i diritti...
DP: Mi vergogno un po’ a dirlo e infatti non l’ho mai detto a nessuno. La verità è che Nicolas è mio figlio e Mèlanie mia figlia e le cose andavano male: alcool, droga... E quindi ho deciso di trovar loro un’occupazione. Mi hanno chiesto se potevano realizzare un film da una delle mie opere, non importava quale. Ho detto loro di prendersi Il Paradiso degli Orchi! (ride) Comunque non ho avuto per niente la sensazione di essere tradito. Non mi aspettavo né fedeltà, né tradimento, perché quando si fa un adattamento cinematografico cambia completamente il modo di esprimersi. Quando un autore di romanzi affida il proprio libro a un regista deve essere abbastanza saggio da non aspettarsi assolutamente nulla ed essere solo curioso verso il risultato. Non avevo nessuna immagine retinica di Malaussène e infatti, in tutte le copertine delle versioni francesi, è rappresentato di spalle. Non mi aspettavo nulla di particolare e infatti non ne sono rimasto assolutamente deluso. Credo sia un film fedele al libro sul piano del ritmo e su quello famigliare. Il libro era molto più noir, mentre il film lo è molto meno e c’è meno ambientazione di Belleville. Ma Nicolas voleva solo rappresentare i rapporti famigliari, cosa che ha fatto in modo eccellente.
NB: Malaussène è un personaggio a metà tra l’adolescente e l’adulto, ha ancora molti legami e molte responsabilità. Io venivo da un film precedente che trattava il tema dell’infanzia e ho dei fratellini più piccoli di cui mi sono spesso occupato. Mi identificavo in maniera inconscia con il suo personaggio e con il suo forte legame verso la famiglia. Con lo sceneggiatore abbiamo lavorato alla storia per due anni e di tanto in tanto ci incontravamo con Daniel e ci facevamo una passeggiata, in cui lui mi raccontava tante cose diverse, non solo sul libro. E questo mi ha aiutato davvero molto.

Dopo averli visti sullo schermo, ha riconosciuto questi attori come i suoi figli, come le creature del suo romanzo? E quali sono gli orchi con cui dobbiamo vedercela oggi secondo lei?
DP: Si. Quando ho scritto Il Paradiso degli Orchi Nicolas stava nascendo, quindi per forza è un figlio diretto di questa scrittura. E quando ho scritto La Fata Carabina, invece, nasceva Mèlanie. Per quanto riguarda gli orchi di oggi, invece, penso siano gli stessi della mia epoca, solo hanno molta più fame, hanno un’apparenza diversa. Nella prima metà del secolo si trattava di orchi politici che hanno divorato la torta politica: Mussolini, Franco, Stalin... giganteschi orchi politici. Noi in Francia, durante la guerra, avevamo solo persone che consumavano i resti degli orchi politici. Oggi hanno cambiato volto, sono quelli che divorano i prodotti finanziari, che hanno una dimensione planetaria, che non hanno più bisogno del contesto politico per regnare nel mondo. Sono molto più pericolosi, perché in apparenza prosperano sulla pace universale.

A quale tipo di cinema ti sei ispirato per questo film?
NB: Fellini! Mi sono lasciato ispirare da cineasti con un universo molto barocco, un po’ staccato dalla realtà, come Fellini e Terry Gilliam. Non volevo dei riferimenti esatti per il film e infatti mi sono circondato di personalità diverse, per dare alla storia un aspetto cosmopolita, per fare in modo che non fosse nostalgica o scadesse in un immaginario statico.

Per creare i suoi personaggi, utilizza più una ispirazione letteraria o cinematografica?
DP: Le fonti per i miei personaggi sono le più diverse. Il tema del capro espiatorio, per esempio, l’ho preso da un filosofo, Renè Girard, che ha sviluppato una tesi in cui si dice che qualsiasi gruppo umano si costruisce rifiutando uno del gruppo, il capro espiatorio, su cui riversare tutte le colpe. È questo che mi ha fornito l’idea intellettuale di un personaggio che si fa pagare per prendersi le colpe di qualcun altro. Altri personaggi, invece, nascono in funzione della storia. Per esempio, a un certo punto c’era bisogno di un poliziotto, era una necessità narrativa. Altri vengo dalla mia vita: il portiere nasce da un mio vecchio amico croato. Lui era divertente e grave allo stesso tempo. C’erano talmente tanti esempi da prendere e mettere nella storia. Il cinema, a dire il vero, non ispira mai i miei personaggi.

Quando ha conosciuto Nicolas, ha visto in lui uno dei suoi personaggi?
DP: Quella sera in teatro leggevo la storia di Bartleby, che è la rappresentazione perfetta del non fare. Non è proprio un testo molto allegro (ride). Uscendo da teatro, e sottolineo uscendo, perché Nicolas non è entrato in teatro a sentirmi leggere, ho incontrato questo ragazzo che era su tutte le furie e mi è saltato quasi addosso. Sprizzava questo desiderio irrefrenabile di adattare il mio libro. Mi dica di sì, mi dica di sì, mi dica di sì. Alla fine ho detto sì. Ecco, lui è l’esatto opposto di Bartleby.

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