Intervista Il caso Spotlight: incontro con Michael Keaton e Walter Robinson

Abbiamo incontrato a Roma il grande attore americano, protagonista di uno dei film più attesi dell’anno, in compagnia dell’uomo da lui interpretato, ovvero il capo del team investigativo del Boston Globe che indagò sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica.

Intervista Il caso Spotlight: incontro con Michael Keaton e Walter Robinson
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Applauditissimo all'ultimo Festival di Venezia, dove è stato presentato fuori concorso, per poi approdare anche al Festival di Toronto, Il caso Spotlight, sceneggiato e diretto da Thomas McCarthy, è un'opera che recupera i canoni del "cinema d'inchiesta" della Hollywood degli anni Settanta per raccontare una vicenda che, fra il 2001 e il 2002, ha scosso profondamente l'opinione pubblica in tutto il mondo, provocando un autentico terremoto fra i vertici della Chiesa Cattolica: l'indagine del Boston Globe sugli abusi sessuali commessi all'interno di numerose parrocchie di Boston, ma soprattutto i tentativi di insabbiamento da parte di alcuni fra i massimi esponenti del clero per proteggere i sacerdoti responsabili di atti di pedofilia. Opera asciutta e rigorosa, priva di sensazionalismi, Il caso Spotlight ha ricevuto un gran numero di riconoscimenti in America, inclusi i premi come miglior film ai Critics Choice Award, ai Los Angeles Film Critics Award e ai National Society of Film Critics Award, e ha ottenuto sei nomination all'Oscar, tra cui miglior film, regia e le candidature per Mark Ruffalo e Rachel McAdams.
In attesa dell'uscita della pellicola anche in Italia, dove arriverà il 18 febbraio grazie a BIM Distribuzione, abbiamo incontrato a Roma uno degli interpreti, il grande Michael Keaton, premiato con il New York Film Critics Award come miglior attore per la sua ottima prova nel ruolo di Walter Robinson, il leader del cosiddetto "team Spotlight", ovvero la squadra di reporter che realizzò l'inchiesta sulla pedofilia nella diocesi di Boston. E accanto a Michael Keaton era presente anche lo stesso Robinson, per approfondire il rapporto tra la finzione cinematografica e la realtà di uno dei più clamorosi scandali del nuovo millennio.

PROFESSIONE REPORTER

Michael, cosa ha significato per te interpretare un giornalista oggi, in un periodo di profonde trasformazioni di questa professione?
Michael Keaton: In qualche modo è stata una benedizione. Ho interpretato un giornalista in tre diversi film e nutro un grande interesse per questa professione. Seguo molti programmi televisivi di informazione, mentre internet lo uso meno spesso. Lo script di Spotlight l'ho trovato subito ottimo; Mark Ruffalo era già stato ingaggiato per il film e io sono arrivato per secondo. Avevo già apprezzato i lavori di Thomas McCarthy ed ero molto incuriosito dall'argomento di Spotlight, l'inchiesta sullo scandalo della pedofilia nella Chiesa di Boston.

Come ti sei preparato per interpretare il ruolo di Walter Robinson?
Michael Keaton: La mia preparazione per il ruolo è stata molto semplice grazie a Walter, soprannominato Robbie: lui mi ha raccontato tutti i retroscena della vicenda. Ero particolarmente curioso su tutti gli aspetti del lavoro giornalistico, ma gli ho fatto domande su tantissimi argomenti: abbiamo parlato anche di altri casi da lui seguiti nella sua carriera, così come della sua vita familiare... cercavo di cogliere anche l'essenza della persona. Per il resto, avendo già interpretato ruoli di giornalisti partivo con un certo vantaggio. Oggi, purtroppo, sono molto frustrato dalla maggior parte dei programmi d'informazione americani, che trovo pessimi.

Qual è lo stato di salute del grande giornalismo d'inchiesta in America?
Walter Robinson: Negli Stati Uniti, il giornalismo investigativo è attaccato al respiratore. Gli editori non hanno i soldi necessari a sostenere i team investigativi, anche a causa dell'avvento di internet. Ma i lettori in realtà desiderano il giornalismo investigativo, lo rivelano in tutti i sondaggi d'opinione; gli editori però stanno tagliando questi fondi. Eppure c'è bisogno di qualcuno che spinga le istituzioni, inclusa la Chiesa Cattolica, ad assumersi le proprie responsabilità: se noi non possiamo fare il nostro lavoro, la democrazia morirà, perché senza essere informata la gente non potrà prendere le decisioni giuste.
Michael Keaton: Io sono nato e cresciuto a Pittsburgh, in Pennsylvania, e i giornali locali non hanno un vero apparato investigativo, la sezione locale dei quotidiani conta solo sei pagine. Di recente a Flint, in Michigan, è scoppiata la crisi dell'acqua a causa dell'inquinamento di piombo di alcune falde acquifere, tale da provocare danni cerebrali a molti bambini: un problema che riguarda anche altre città, e l'unica persona ad aver indagato su questa vicenda è stata Erin Brockovich. Se ci fosse stato un team investigativo di giornalisti ad approfondire il caso, c'è la possibilità che in queste città non si sarebbero verificati tali problemi con tragiche conseguenze.

LA CHIESA, GLI SCANDALI E GLI OSCAR...

Quale impatto vi aspettate da Il caso Spotlight sul pubblico, nonché sulla Chiesa Cattolica?
Michael Keaton: Ho partecipato a una serie di proiezioni di Spotlight con il pubblico, e dopo una di queste un uomo mi si è avvicinato e mi ha ringraziato per aver interpretato il film, rivelandomi di essere un sopravvissuto agli abusi dei preti pedofili; era la prima volta che ne parlava a qualcuno. Spotlight però non è un film contro la religione: io provengo da una famiglia molto cattolica, mia madre andava a messa ogni giorno, e ciò che mi rende più triste è che questi scandali hanno allontanato tantissime persone dalla Chiesa. La situazione descritta in Spotlight, del resto, non riguarda solo la diocesi di Boston, ma diversi paesi del mondo. Io sono un grande ammiratore di Papa Francesco, sta introducendo molti cambiamenti nella Chiesa, non è un'impresa facile. Purtroppo spesso chi ha in mano il potere, invece, ne fa un cattivo uso; perfino l'ONU, che dovrebbe garantire l'incolumità delle popolazioni africane, e che invece a volte si fa complice dello sfruttamento di queste popolazioni. L'impatto del film va oltre la questione della pedofilia nella Chiesa, e il lavoro svolto da questi giornalisti è qualcosa di eroico.
Walter Robinson: Come tutti, anch'io ho grandi aspettative sull'operato di Papa Francesco. Ricordo che, appena eletto, il Papa si è preoccupato subito di eliminare le limousine per i vescovi e i cardinali, e i cardinali americani hanno spesso fatto uso di questi privilegi. Mi auguro che Papa Francesco possa cancellare tali privilegi e tornare a far puntare l'attenzione sulla vera natura della Chiesa, che ormai è diventata una sorta di società clericale mentre dovrebbe occuparsi soprattutto dei bisogni dei fedeli. Credo però che il Papa non abbia ancora attuato alcun vero cambiamento per contrastare il problema della pedofilia, e questa è l'opinione anche dei sopravvissuti agli abusi. Quando è venuto negli Stati Uniti il Papa ha lodato il coraggio dei vescovi americani, e questo suo encomio è stato interpretato come un'offesa, perché i vescovi americani sono del tutto contrari a ogni forma di progresso.

Walter Robinson, ha più avuto occasione di confrontarsi con il Cardinale Bernard Law, il principale responsabile dell'insabbiamento degli abusi nella diocesi di Boston?
Walter Robinson: Il Cardinale Law è stato qui a Roma fin dal 2002, e da allora non ha mai incontrato un singolo reporter. Credo che io rimarrò l'ultimo con cui abbia mai parlato.

Che effetto ti ha fatto vederti interpretato sullo schermo da un attore come Michael Keaton?
Walter Robinson: Sono onorato di essere stato interpretato da Michael Keaton, che considero uno dei migliori attori del mondo; quando ho saputo la notizia sono rimasto estasiato. Nel 1994 lavoravo già al Boston Globe, e quell'anno Michael interpretò un giornalista nel film Cronisti d'assalto, ed era assolutamente perfetto. Lui ha usato la mia voce, la mia gestualità e ogni altro dettaglio per apportare a Spotlight un realismo straordinario, contribuendo a renderlo un'opera appassionante; ma lo stesso vale per tutti gli altri attori.

Michael, cosa pensi della campagna #OscarsSoWhite? Pensi che nell'Academy e a Hollywood sia ancora presente una componente di razzismo?
Michael Keaton: Sono molto sensibile al problema della descriminazione e dell'assenza di uguaglianza: è un problema che mi ha sempre toccato profondamente, fin da quando ero bambino. Credo che la questione sia più ampia, e non riguardi solo Hollywood. Francamente non sto seguendo granché gli Oscar quest'anno, sono impegnato a promuovere Spotlight in Europa e non so neanche di preciso chi sia candidato e chi no; suppongo però che debba essere attuato qualche cambiamento al sistema di votazione, ma non ne so molto. La questione del razzismo in America è molto più ampia, ma le disuguaglianze sono presenti in tutti i paesi del mondo, basti pensare all'antisemitismo. Io credo in ciò che faccio perché credo che l'arte sia importante, e devo ricordarmene, evitando di far crescere il mio ego di attore, soprattutto quando ho l'occasione di interpretare un film così acclamato. Io vado a lavorare ogni giorno cercando di dare il meglio di me, ma Robbie e i giornalisti come lui svolgono un mestiere ben più importante, sono loro i veri eroi.

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