Intervista I soliti idioti - Il film: Intervista ai protagonisti

Faccia a faccia con gli "idioti" più famosi dello stivale

Intervista I soliti idioti - Il film: Intervista ai protagonisti
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In uscita il 4 novembre con 550 copie, "I soliti idioti - Il film" è l'adattamento cinematografico dell'omonima sit-com andata in onda su Mtv per tre stagioni, conquistando l'apprezzamento di svariate fasce di pubblico grazie a un umorismo spassoso e dissacrante allo stesso tempo.
Movieye vi offre l'intervista esclusiva ai protagonisti Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, responsabili di quella che è, ormai, una vera e autentica rivoluzione della comicità italiana.

Io soliti idioti è una sit-com che, nelle sue tre stagioni, ha fatto della volgarità quasi un marchio di fabbrica. Cosa ne pensate della volgarità in Italia? E voi, vi sentite davvero volgari?

F.B.: L’unico personaggio davvero volgare della serie è Ruggero De Ceglie, forse lo sono anche un po’ i due bambini ma non in modo particolarmente significativo. La ministra, ad esempio, non è per niente volgare. Sta di fatto che non è mai una volgarità gratuita, perché il personaggio del padre si può raccontare solo così. Se lui dice al figlio: “Sei scemo!” non farebbe ridere, quindi è costretto a dirgli: “Sei stronzo!”. Il nostro essere volgari significa essere sinceri, ovvero raccontare le cose come sono nella realtà.

F.M: Ruggero De Ceglie utilizza le parolacce ma è assolutamente dichiarato. Molto spesso si assiste a una volgarità mascherata quasi da “bon ton” o da cosa per famiglie. Noi, invece, siamo molto sinceri col pubblico. Il nostro è un programma che andava in onda in terza serata e veniva anche preceduto da un claim che diceva che era un programma per adulti. Quindi, quel tipo di volgarità, è sempre funzionale al racconto e non è mai fine a se stessa, almeno per quel che ci riguarda.


Perché, secondo voi, il personaggio di Ruggero De Ceglie, che è tra l’altro il vero protagonista di questo film, è così amato dagli italiani?

F.B./F.M.: Perché, in fondo, incarna un po’ i difetti di tutti ed è simile a molte figure paterne che quotidianamente ci vengono presentate. Ad ogni modo, questo personaggio funziona solo perché è legato a un contesto ben preciso, ovvero il rapporto con il figlio Gianluca. Fondamentalmente, è un personaggio orribile ed estremamente antipatico, non ha la licenza di uccidere ma quella di essere cafone e di fregarsene di quello che la società pensa di lui. Ma, appunto, sono proprie le varie situazioni di cui è protagonista insieme a suo figlio a renderlo così speciale.

Qual è, secondo voi, lo “spettatore tipo” dei Soliti Idioti?
F.B.: Una persona con una faccia un po’ assorta, un po’ spenta... (ride)
Guarda, in realtà pensavamo di saperlo ma, quando siamo diventati popolari, abbiamo cominciato a vederne di ogni: dall’anziano al manager col telefonino sull’Eurostar, dal ragazzino al bambino, che magari guarda i personaggi degli omosessuali e, naturalmente, non capisce neanche chi siano e cosa facciano.

F.M.: Secondo me, l’individuo che guarda I soliti idioti è quello che “se vole fare ‘na risata”. Può essere uno a cui piace Fassbinder e che legge Kant come può essere uno che non ha nemmeno la quinta elementare ma che vuole appunto solo farsi una risata perché ha trovato in quella roba lì una comicità diversa e in cui riesce a riconoscersi. Comunque credo non ci sia tanto un “tipo” di spettatore quanto un pensiero comune a diverse fasce di pubblico, magari anche di estrazione sociale diversa.


Che opinione avrebbero i protagonisti de I soliti ignoti, film di Mario Monicelli del 1958 che avete più volte annoverato tra le vostre principali fonti di ispirazione, circa le situazioni che mettete in scena nella sit-com?

F.B./F.M.: In realtà, I soliti ignoti ci faceva solo gioco con il titolo, difatti il nostro principale riferimento è I mostri di Dino Risi. Se le buon’anime di Tognazzi e Gassman ci vedessero oggi probabilmente direbbero: “Bè, c’è qualcuno che continua a fare quello che abbiamo cominciato noi...”

A tal proposito, la partecipazione di Gianmarco Tognazzi alla terza stagione della serie e al film può essere in qualche modo considerato un omaggio a quel tipo di cinema e a quegli specifici titoli?

F.B./F.M.: Gianmarco è un amico, prima di tutto, e quando gli abbiamo chiesto di venire a fare la serie ha detto subito di sì e quindi l’abbiamo voluto coinvolgere anche nel film. Poi, per noi, avere un Tognazzi ne I Soliti Idioti può essere considerata anche una cosa quasi scaramantica, se vogliamo. Oltretutto lui ci racconta sempre del padre e di come faceva il suo mestiere, e questa rappresenta anche un po’ un’iniezione di fiducia nei nostri confronti. E’ chiaro che il nostro riferimento è I mostri, ma la cosa strana è che, nonostante siano passati cinquant’anni, gli argomenti e i temi di cui si ride sulla mostruosità degli italiani sono un pò gli stessi anche oggi.

Il vostro successo vi ha reso i degni eredi di Checco Zalone. Quali potrebbero essere, tra i comici odierni, i vostri eredi?
F.B.: Mah, se già mi parli di eredi significa che siamo già arrivati alla fine della nostra avventura... (ride) Diciamo che, per ora, siamo noi gli eredi degli altri e cerchiamo di onorare chi ci ha preceduto in tutti i modi possibili.

F.M.: Anzi, in realtà non siamo proprio gli eredi di nessuno. Forse veramente solo di Checco Zalone... (ride)


Cosa sarà I soliti idioti tra dieci anni?

F.B/F.M.: Speriamo solo che, tra dieci anni, possa essere considerato come molti altri film comici che hanno avuto successo e che riesca ad avere ancora un senso, non limitandosi ad essere ricordato solamente per un banale “Dai c*zzo!” ma che possa far emergere anche qualcos’altro. Questo, chiaramente, lo deciderà il pubblico.

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