Intervista È arrivata mia figlia!: Anna Muylaert

La cineasta brasiliana Anna Muylaert ci racconta la genesi e lo sviluppo del suo interessante film a sfondo sociale, ambientato in un Brasile 'domestico' destinato a cambiare inevitabilmente pelle e perdere le sue contraddittorie tradizioni...

Intervista È arrivata mia figlia!: Anna Muylaert
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A chi è permesso entrare in soggiorno? Chi, invece, non dovrebbe mai mettere piede fuori dalla cucina? Addirittura... chi è autorizzato ad aprire la porta del frigorifero? È arrivata mia figlia! è un film sul sistema di regole sociali che è alla base della cultura brasiliana fin dai tempi del colonialismo e che continua tuttora a forgiare l'architettura emotiva delle persone. Una serie di regole "non scritte" che negli ultimi anni sta subendo una piccola "rivoluzione" e che viene ben indagata nel film di Anna Muylaert, ora nei cinema. La regista, in questa intervista, ci racconta l'idea alla base della pellicola, in cui una spregiudicata neo-universitaria, Jessica, arriva a San Paolo e distrugge la placida routine della madre Val, che di professione fa la bambinaia. La presenza di Jessica, giovane risoluta e sicura di sé, spezza il tacito e tuttavia rigido equilibrio di potere della casa in cui Val serve e la donna deve decidere in chi riporre il suo senso di lealtà e che cosa è disposta a sacrificare per migliorare il suo rapporto con la figlia e abbracciare una modernità oramai ineluttabile.

BRASIL

Qual è stato il punto di partenza di È arrivata mia figlia!?
Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura vent'anni fa, quando ho avuto il mio primo figlio e mi sono resa conto di quale nobile compito sia crescere un bambino. E al tempo stesso ho anche constatato quanto proprio questo compito sia denigrato dalla cultura brasiliana. Nel mio ambiente sociale, piuttosto che accudire il proprio figlio, le donne molto spesso assumono una bambinaia a tempo pieno e demandano a lei gran parte del lavoro, considerato noioso e spossante. Ma quelle bambinaie, a loro volta, molto spesso devono affidare i loro figli a qualcun altro per potersi occupare di quelli delle persone per cui lavorano. Ho ragionato sul fatto che questo paradosso sociale è uno dei più significativi in Brasile, dal momento che sono sempre i bambini a soffrirne, sia quelli dei datori di lavoro sia quelli delle bambinaie. C'è un problema cruciale nel fondamento della nostra società: l'educazione. È davvero possibile allevare un figlio senza affetto? L'affetto può essere comprato? E, se sì, a quale prezzo?

Quali sono le caratteristiche principali del film?
È arrivata mia figlia! può essere considerato un film sociale, ma non solo. Il suo approccio diretto non intende né giudicare né esaltare i personaggi, vuole semplicemente mostrare la nuda verità. La sua struttura drammatica è asciutta, quasi algebrica. Inizia con la descrizione delle consuetudini e delle regole che governano i rapporti affettivi e sociali in una famiglia di ceto superiore a San Paolo.
Poi l'attenzione si sposta su Jessica, la figlia della governante, che irrompe nel contesto domestico del tutto inconsapevole delle regole della casa e di conseguenza finisce con il valicare alcune linee di demarcazione e con l'occupare degli spazi che non le spetterebbero.
Ovviamente, viene espulsa da quegli spazi che per tradizione le sono vietati. Viene "rimessa al suo posto", solo che quel "posto" non esiste più.

Come si è articolato il processo creativo?

Il film si è sviluppato nell'arco di vent'anni. Alla base c'era una sceneggiatura intitolata "La porta della cucina" e la trama verteva prevalentemente sul rapporto datore di lavoro-governante. Lo stile sfiorava il realismo magico, ma cinque anni dopo ho deciso di optare per una narrazione più realistica.
Ho fatto approdare la figlia della bambinaia a San Paolo affinché condividesse il destino di sua madre: lasciarsi alle spalle il proprio mondo per andare a fare un lavoro mal pagato. Tuttavia, ho sentito l'esigenza di iniettare un po' di speranza nel personaggio. Mentre studiavo come farlo evitando che il film scivolasse verso un falso happy end, il popolo brasiliano ha eletto un presidente del Brasile del Partito dei Lavoratori e le cose sono iniziate a cambiare. Sono stati introdotti degli emendamenti alla legge sul lavoro che hanno praticamente debellato la manodopera domestica convivente.
Nel 2013, poco prima dell'inizio delle riprese del film, mi sono finalmente messa a riscrivere la sceneggiatura in modo che riflettesse i recenti cambiamenti e dibattiti. Invece di ritrarre la figlia della bambinaia con il cliché della ragazza sventurata e mansueta l'ho dotata di una personalità energica e le ho dato la nobiltà e la forza per opporsi alle convenzioni sociali separatiste, che sono un ritorno al passato coloniale.

Come si relaziona il film con il Brasile del passato e con il Brasile del presente?
Il film tratta di due generazioni di donne di umili origini, entrambe nate nel nordest del paese. Il personaggio principale, Val, è una collaboratrice domestica che rispetta le vecchie norme e le consuetudini separatiste e accetta di essere trattata "come una cittadina di seconda classe", come dice sua figlia. Agli antipodi c'è Jessica, la figlia, che malgrado le sue umili origini, è piena di curiosità e di forza di volontà e pretende quello che le spetta, i suoi diritti civili. Come dice lei stessa: "Non mi considero né migliore né peggiore di chiunque altro".

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