Alla Ricerca di Dory: intervista esclusiva al regista Andrew Stanton e alla produttrice Lindsay Collins

Alla Ricerca di Dory è finalmente nei cinema e per l’occasione abbiamo intervistato il regista Andrew Stanton e la produttrice Lindsay Collins.

Alla Ricerca di Dory: intervista esclusiva al regista Andrew Stanton e alla produttrice Lindsay Collins
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Sin da quando, nell'aprile del 2013, è stato annunciato che presto Dory sarebbe stata la protagonista di un film tutto suo che noi amanti della Disney Pixar lo attendiamo. E adesso, finalmente, Alla Ricerca di Dory è nei cinema italiani. In occasione dell'uscita di uno dei lungometraggi animati più attesi di sempre, abbiamo avuto l'onore di scambiare quattro chiacchiere con uno dei "papà" di Dory, Andrew Stanton, regista insieme al collega Angus MacLane, del lungometraggio animato, di Alla Ricerca di Nemo ma anche di un altro capolavoro della Casa di Produzione: Wall-E. Insieme a lui, c'era anche Lindsay Collins, produttrice del film. I due ci hanno svelato molti segreti sulla "nascita" di Dory, sul polpo Hank ma anche sul loro amore per Disney nato tanti anni fa, grazie a due classici che hanno commosso il mondo.

Quando è nata l'idea di dedicare un intero lungometraggio a Dory?

AS: All'uscita di Nemo ero molto sicuro del fatto che non ci sarebbe stato alcun sequel, non ne avevamo intenzione né tantomeno lo avevamo pianificato. È un'idea che è arrivata molto tardi, direi all'inizio del 2011. Ci chiesero di guardare Nemo un'altra volta (erano quasi 6 anni che non lo rivedevo) per approvare la versione in 3D che fu lanciata quell'anno. Sono uscito dalla sala preoccupatissimo per Dory, ho sentito che non avevamo ancora finito con lei, non sapeva ancora da dove venissero i suoi genitori, si sarebbe potuta perdere il giorno dopo allontanandosi da Marlin e Nemo... Mi sentivo in colpa per aver lasciato il personaggio senza una vera e propria conclusione!

LC: C'ero anch'io quel giorno alla proiezione, ricordo che Andrew uscì dalla sala con questa idea fissa di non aver fatto abbastanza per Dory. E quando lavori con un team di artisti di questo calibro per tanto tempo impari a dare importanza a queste idee, poiché dal loro svilupparsi potrebbero nascere ottimi spunti per nuove storie, com'è successo in questo caso.

In Finding Dory, come in Finding Nemo, c'è l'idea che chiunque possa superare i propri limiti. Quali limiti siete riusciti a superare nella vostra carriera?

AS: Ero appena reduce dal fallimento di John Carter da Marte, dovevo dimostrare a me stesso di essere ancora in grado di dirigere un buon film. Ma ero molto intimidito, adoravo John Carter e mi è dispiaciuto che il pubblico non lo abbia apprezzato, ma ho capito che non ne dovevo fare una questione personale né avrei dovuto lasciare che il mio morale crollasse per questo. L'unica cosa che potevo fare era andare avanti, fare un altro film e nel farlo emozionarmi di nuovo.

LC: Il mio limite lo vivo tutti i giorni. Ogni mattina in cui varco la soglia degli studi della Pixar è difficile non sentire un po' di insicurezza. Mi trovo circondata da artisti brillanti, animatori, e tutta gente che ha scelto un cammino totalmente differente da quello tradizionale. Io non ho alcun bagaglio artistico, non ho mai studiato disegno o animazione. Quando siamo alle riunioni mi sento un pesce fuor d'acqua, come se in mezzo a tutti quei talenti mi chiedessi "ma cosa ci faccio io qui?". Ormai non cerco più neanche di nasconderlo, anzi ho imparato a conviverci. Spesso faccio un sacco di domande, a volte me ne esco con idee o proposte irrealizzabili, ma era così il primo giorno ed è così anche oggi a distanza di 20 anni.

Oltre a Dory c'è un altro personaggio "spalla" della cinematografia Disney Pixar che amate particolarmente e a cui sognate di dedicare un film?

AS: No! O meglio: per il momento no. Poi non si può mai dire, all'inizio non pensavamo neanche che sarebbe uscito un film su Dory. Ma la verità è che questi personaggi sono molto "reali" per noi, dopo che impieghi anni a crearli, a lavorarci e a svilupparli è come se si stesse crescendo un figlio. Non mi stupirei se domani venisse qualcuno da me dicendomi di voler tornare a sviluppare maggiormente un personaggio che abbiamo già presentato. Ma nonostante tutto la cosa che ancora ci affascina ed emoziona di più è l'ignoto, nuovi mondi e nuovi personaggi. È così che è cominciato tutto.

LC: In linea di massima qui siamo tutti orientati su progetti "stand-alone". Non abbiamo mai iniziato un progetto sapendo con certezza che ci sarebbe stato un seguito. Eppure potrebbe venire qualcuno domattina e proporre un'idea per una trilogia, sarebbe comunque qualcosa di nuovo per noi.

Hank, il polipo, è un capolavoro della computer grafica oltre che un inedito bellissimo personaggio. Ci potete dire di più sulla sua realizzazione?

AS: Hank è stato difficilissimo sia da creare che da dirigere. Non solo per via dei tentacoli, ma anche per la sua forma che può cambiare così radicalmente come se fosse liquido, è stato molto difficile da "controllare". Abbiamo dovuto creare team separati di animatori espertissimi che si occupassero solo ed esclusivamente del polipo, che si è rivelato un impegno a tempo pieno. Ci è voluto tantissimo lavoro ed è impressionante il fatto che ci siano riusciti! Non si sono limitati ad animare un insieme di movimenti, ma sono riusciti a trasmetterne anche le emozioni, dando davvero l'impressione che Hank sia vivo, respiri e pensi.

LC: Durante lo sviluppo di un progetto come questo le storie cambiano ed evolvono in continuazione. Spesso quindi ci si trova a dover valutare l'aggiunta o la rimozione di alcuni personaggi anche in corso d'opera. Quando per la prima volta è stato proposto Hank mi hanno subito detto "Ehi, ma il polipo resta definitivamente? Perché se resta dobbiamo metterci al lavoro subito, dato che ci vorrà un'eternità per animare un personaggio del genere!". Meno male che è risultato subito affascinante e apprezzato da tutti, perché c'è voluto un anno e mezzo prima di vederlo animato per la prima volta!

Siamo più vicini a un mondo simile a quello di Zootropolis, dove "razze" diverse riescono a convivere o a un mondo devastato come quello di Wall-E?

AS: Wall-E si basava su delle verità quali la preoccupazione per l'ecosistema, l'isolamento dovuto agli smartphone e la mancata interazione tra le persone, il modo in cui il consumismo spinge all'impoverimento del pianeta. Fa paura, ma nessuno si augura che le cose evolvano davvero in maniera così esasperata.

LC: Vedo che la coscienza collettiva sta migliorando, intorno a me sento persone attivamente consapevoli dei rischi che sta correndo il pianeta e le nuove generazioni stanno crescendo avendo molto a cuore queste tematiche.

AS: ... E poi speriamo in un finale alla Zootropolis, dove fratellanza e integrazione siano il lieto fine per tutti.

Come è iniziata la vostra fruttuosa collaborazione con Pixar?

AS: Ho cominciato a lavorare in Pixar molto molto presto. Era il 1990 e sviluppavamo spot televisivi in computer grafica. Non avevamo la più pallida idea di come sarebbero evolute le cose, abbiamo iniziato a parlare di lungometraggi per la prima volta solo dopo due anni! Sono solo stato fortunato a trovarmi nel posto giusto al momento giusto.

LC: Io sono arrivata poco dopo, sulla scia del successo del primo Toy Story. Sono andata a vederlo al cinema e sono rimasta esterrefatta, ho subito esclamato "voglio farne parte!". All'epoca lavoravo alla Disney e nessuno aveva idea su chi fosse questa Pixar. Ho cominciato a fare ricerche e sono andata a trovarli, li ho implorati di assumermi ed eccomi qui.

Se potete svelarlo, qual è il Classico Disney che da bambini avete amato di più?

AS: Per me è un pareggio tra Lilli e il Vagabondo e Bambi, ma se dovessi sceglierne solo uno dei due direi Bambi. Si può vedere anche in Nemo, nel film c'è un forte senso della natura proprio come in Bambi.

LC: Biancaneve. È stato il primo cartone animato che ho visto al cinema da bambina e, come molte volte succede, il primo film che vedi tende a restare un ricordo indelebile.

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